Vintage Violence

Un benvenuto ai Vintage Violence da parte di SulPalco.com, presentatevi…
Ciao, qui Vintage Violence, ovvero Nico, Rocco, Gillo, Roby e Ben.

Come e quando vi siete conosciuti?
La prima formazione si è creata nel 2000, durante il liceo. Eravamo la classica garage band casinista e incazzata.Venivamo da esperienze musicali diverse, suonavamo cover di Sex Pistols e Iggy Pop con poca attitudine e molta foga. Tutto il discorso musicale si basava su una forte amicizia, quando questa è venuta meno sono iniziate le prime modifiche alla formazione (tutte molto sofferte), con l’ingresso di Roby al basso e Gillo come seconda chitarra. In realtà siamo nati sui banchi di scuola -anche se non fa molto “rock”- ma è così: i primi testi li scrivevamo durante le lezioni.

Quali sono i gruppi che vi hanno maggiormente ispirato?
Stooges, Velvet Underground, Doors, Bowie, e tutto il punk inglese. Queste sono i “primi amori”. Poi Rolling Stones, John Cale, Patti Smith, Nick Cave, Nirvana, la scena alternativa italiana (Afterhours, Marlene, Verdena), fino alla “nouvelle vague” del rock’n’roll (Yeah Yeah Yeahs, Strokes, Hives, White Stripes). Bisognerebbe fare un discorso a parte per ognuno… Nell’ultimo periodo ascoltiamo molto Jeff Buckley, Nick Drake, Fabrizio De André, Franz Ferdinand, Interpol, Bluvertigo, Karnea, Punto G, e i Sux!

Siete soddisfatti dell’ultimo vostro lavoro, “Psicodramma”?
In realtà per noi è il primo lavoro, il primo vero album.Siamo abbastanza soddisfatti, i suoni sono fedeli agli originali, e per la prima volta abbiamo potuto registrare e mixare senza guardare l’orologio, ma concentrandoci sul suonato.Più passa il tempo più ci sembra imperfetto, incompleto, cerchiamo continuamente dei difetti da correggere, così dal vivo operiamo piccoli tagli o modifiche all’arrangiamento. Ma è una cosa abbastanza comune.

Avete un curriculum di grande prestigio, una serie di apparizioni in tv, la partecipazione con il brano “Cristina” su Rock Sound e molto altro… e a proposito di questo, pensate che la tv e il web siano dei buoni strumenti di promozione?
Non per noi. Non per quello che facciamo. Le cose migliori scaturiscono sempre da incontri fisici, dal contatto con gli altri gruppi (cosa fondamentale) e dai concerti. La promozione non è una nostra necessità, lo è invece l’esibizione dal vivo, e Internet in questo caso è un buon “tavolo di trattativa”. Ma la televisione è il peggio… Senza estremismi si può dire che è la causa di tutto il puttanaio nell’industria discografica italiana. Per noi l’esperienza è valsa in quanto tale, ma una volta che sai com’è suonare in playback, quello che ti rimane è una tacca in più sul curriculum artistico e la consapevolezza di essere assolutamente “altro”.

Come nascono i vostri brani?
Spesso è un parto difficile. Vengono scartate decine di canzoni prima di finirne una. Non partiamo quasi mai da un riff di chitarra, ma da una linea melodica vocale, qualcosa che dia l’atmosfera, il tono. La struttura del pezzo viene dopo, paradossalmente. L’idea è quella di ribaltare lo stereotipo del “brano rock”, ovvero strofa-chorus-strofa-chorus-solo-chorus-fine, per inserire passaggi improvvisi, inusuali.
Per noi è rock alternativo nella misura in cui la costruzione di un brano tiene conto dei movimenti emotivi, più che delle regole compositive.

Quanto tempo passate in sala prove?
Abbiamo la fortuna di avere una sala prove privata e insonorizzata, di solito proviamo due volte a settimana (una in più quando ci sono date), in totale circa 6 ore, ma dipende… Spesso ci prendiamo lunghi periodi di pausa dal gruppo, altre volte abbiamo più concerti che prove.

Avete un grande esperienza live alle spalle?
Abbiamo fatto un’ottantina di concerti, e per ognuno di questi ne è valsa la pena, anche solo come esperienza. Il fatto è che manca la qualità, non la quantità: il problema dei locali è davvero una croce, spesso lo spazio, le attrezzature, l’acustica, non permettono di produrre niente di decente. E’ una farsa, ogni intento comunicativo viene castrato. La “libertà di espressione” passa anche dal mixer, è normale che le date migliori le fai al Rolling, al Transilvania, al Bloom, al C-side.

Com’è lo spettacolo live dei Vintage Violence…?
Ci sono due tendenze nel gruppo: quella “costruttiva”, che vorrebbe un’esibizione ad hoc, costruita a tavolino, e quella “eversiva”, che spinge per l’improvvisazione e la sperimentazione. Il risultato di solito è l’interpretazione momentanea dello spettacolo-tipo, a seconda della spinta emotiva. La scaletta viene sempre modificata in corsa. L’atmosfera che si crea si può riassumere come animosità malinconica, ironica e autoironica. L’idea di un rock decadente, alla fine dei suoi giorni, si traduce in un approccio “arreso” allo strumento, allo spettacolo, a tutte le forme della cultura musicale che solitamente generano esaltazione dei virtuosismi, autocelebrazione, “culto della personalità”. Il nostro spettacolo intende raffigurare una perdita, una mancanza, un difetto, con sarcasmo e distacco. Questa almeno è la riflessione che c’è sotto…

L’autoproduzione è una scelta o una costrizione?
Prima una scelta, poi una costrizione. Come il matrimonio o la verginità.

In ambito letterario siete interessati a uno o più scrittori
in particolare?
Sarebbe un discorso troppo vasto per questa sede… Nietzsche, Bukowski, Dostoevskij, Poe, Kerouac, Stirner, Sartre, Celan, Majakovskij, sono i principali.

Cosa fate quando non suonate?
Siamo tutti studenti universitari, la maggior parte del giorno siamo a Milano, qualcuno lavora anche, quindi non rimane molto
tempo per altro. Quando non studiamo/lavoriamo/suoniamo/usciamo-con-la-ragazza, ognuno ha i suoi interessi: poesia, cinema, sport, coltivazione di rapporti sociali, in ordine sparso…

Date più importanza al sound di una canzone o alle parole?
Sono entrambi caratterizzanti. Il sound è spesso frutto di innumerevoli esperimenti e combinazioni diverse, l’assetto della batteria non è mai definitivo, gli effetti a pedale vengono montati e smontati di continuo. Per “Psicodramma” abbiamo usato amplificatori a valvole, chitarre con single coil, distorsori analogici e microfoni molto sensibili. I testi sono il risultato di un “cut-up” su scritti e poesie di Nico, spesso limati e mescolati per adattarsi al pezzo. E qui occorre una spiegazione, perchè spesso vengono catalogati come non-sense, o “dialogo interiore”, ma non è esattamente così…La scelta di una parola deriva dall’impronta emotiva che serve alla musica in quel momento: il testo di una canzone può limare o increspare, colmare o spogliare, e questo al di là del significato. Il contenuto non serve più, perchè la parola in sè fa riferimento a un significato ben più profondo: come il sub-conscio si serve delle immagini oniriche, così l’uso della lingua in chiave estetica suggerisce un’interpretazione, sempre involontaria, sempre soggettiva. E’ un modo di scrivere moderno, per noi l’unico possibile.

I titoli delle vostre canzoni sono abbastanza particolari, hanno dei particolari riferimenti, come ad esempio “Cristina” o sono nati così, spontaneamente?
Non hanno particolari riferimenti, in alcuni casi sono i titoli delle poesie da cui il testo è tratto. Più spesso sono semplicemente “le parole giuste”, quelle che ci suggerisce il pezzo. I titoli sono da un lato un divertimento, dall’altro una terribile costrizione: fosse per noi la track list sarebbe “n.1”, “n.2”, “n.3″… Ma questo ci toglierebbe il piacere di “dare un nome ai nostri figli”!

Un saluto dallo staff di SulPalco e un ringraziamento per la
disponibilità! Ciao ragazzi!
Ciao dai Vintage Violence!