Quel sound che unisce Italia e Sud America: intervista ai Sinedades

La loro musica è un mix irresistibile di folk europeo e pop, bossa nova e latin, le loro canzoni evocano un mondo di storie intimiste e suggestive. Atmosfere oniriche, in cui la fantasia incontra l’amore per una natura incontaminata e pulsante. Dall’unione tra la voce delicata di Erika Boschi e il sound sudamericano della chitarra di Agustìn Cornejo sono nati i Sinedades (“senza età”, in lingua spagnola).

Abbiamo fatto due chiacchiere con loro, in occasione dell’uscita del loro primo disco, “Para Mi Potnia“, pubblicato dall’etichetta Black Candy. Ecco cosa ci hanno raccontato.

Sinedades significa letteralmente “senza età”. Perché avete scelto questo nome per il vostro progetto?

Perché ragioniamo spesso sul concetto del tempo, su quanto la percezione che abbiamo di esso riesca a influenzare veramente troppo il nostro quotidiano. “Senza età” per noi significa continuare a fare e desiderare senza farsi corrompere dal tempo; meravigliarsi delle cose come se fossimo bambini, fare progetti senza pensare di essere fuori tempo per imbarcarci.

Tu, Erika, sei italiana, mentre Agustìn è argentino. Qual è stato il vostro percorso? E come è nato il vostro duo?

Ci siamo conosciuti ormai 10 anni fa, dopo che per motivi “casuali” ci eravamo entrambi trasferiti in un piccolo paese sulla costa livornese. Io da Firenze mentre lui da Buenos Aires. Agustìn viene da una famiglia di artisti: pittori e musicisti. La loro casa era sempre aperta per gli amici, passavamo pomeriggi interi a suonare, dipingere, ascoltare musica, creare, giocare a scacchi. Condividere tempo insieme è stata da subito una grande occasione di creatività. Il progetto Sinedades nello specifico è nato dopo che in entrambi si era sviluppata una grande affinità con la musica tropicale, e con la scrittura e il canto in lingua spagnola. Abbiamo iniziato a comporre i primi brani per poter partecipare a un concorso molto importante in Toscana, il “Toscana 100band”, iscrivendoci praticamente il giorno prima della scadenza del bando stesso, con due brani composti da neanche 24 ore. Inaspettatamente siamo arrivati al primo posto in classifica. Eravamo felicissimi e abbiamo iniziato a comporre sempre di più, realizzando il nostro primo disco e suonando dal vivo un po’ in tutta Italia.

In un momento in cui tanti gruppi scelgono di cantare in inglese, voi avete scelto lo spagnolo. Perché? Trovate che ci sia più musicalità, più magia in questa lingua?

Per me (Erika) cantare in spagnolo è un’occasione di sincerità. Nel senso che per me la lingua è un veicolo di espressione davvero importante, non voglio che sia una maschera o qualcosa che non mi rappresenti per niente a livello profondo. Quindi dopo aver cantato per tanti anni sempre in inglese, ho sentito che in realtà l’inglese per me non era qualcosa di “mio”, mai ho vissuto in paesi anglofoni, mai l’inglese è stato presente nel mio quotidiano. Lo spagnolo invece a livello emotivo e affettivo ha una ragion d’essere molto più profonda: è la lingua madre della persona con cui scrivo canzoni, e della sua famiglia, dunque persone per me artisticamente molto importanti. Con lo spagnolo sento più senso di appartenenza. E poi ovviamente stilisticamente è perfetto per l’atmosfera che sentiamo e creiamo quando componiamo.

Per me (Agustìn) chiaramente scrivere in spagnolo è la cosa più naturale, sono felice di poter esprimere arte nella mia lingua madre.

Sta per uscire il vostro primo album, pubblicato con l’etichetta fiorentina Black Candy. Potete raccontarci qualcosa del disco?

Questo disco ha una storia buffa: lo abbiamo registrato due volte. Rispetto alla prima versione, che giudicavamo “immatura”, nella nuova stesura gli arrangiamenti sono molto più ricchi: abbiamo aggiunto parti di arpa, viola, violino, violoncello, fisarmonica, diamonica, pianoforte, flauti e percussioni. Inoltre la seconda versione è frutto di una maggiore esperienza consolidatasi sul palco stesso. La cosa particolare è che lo abbiamo registrato da soli, in modalità home recording, in una fase delle nostre vite in cui in realtà non avevamo un luogo adatto in cui registrare. Nelle nostre rispettive case a Bologna non avevamo uno spazio insonorizzato, dopo il trasferimento in Toscana abbiamo avuto una vita molto “nomade”, per cui di fatto il disco è stato registrato un po’ a casa di amici, un po’ in uno scantinato umido, un po’ in una casa che abbiamo affittato per pochi mesi in inverno, in campagna, senza riscaldamento!

Una volta finito di registrare, abbiamo conosciuto l’etichetta Black Candy, la quale si è occupata del missaggio, del mastering, della stampa e della distribuzione dell’album.

Nei vostri pezzi è forte il riferimento alla natura, in particolare al mare. Come mai?

Siamo entrambi molto legati alla natura, e stiamo bene quando possiamo godercela. Ci fa rilassare e ispirare. E ci teniamo tanto a proteggerla e preservarla. “Para mi Potnia” è infatti un messaggio di tutela e sensibilizzazione per l’ambiente. Siamo entrambi cresciuti in un posto di mare, per questo per noi resta il paesaggio più affascinante e misterioso, un palcoscenico per infinite storie e personaggi.

Se doveste descrivere il disco con una sola parola, che aggettivo usereste?

Acquatico. Ci sono gocce, gabbiani, acqua che scorre….

C’è un brano dell’album a cui siete più affezionati? Perché?

Per me (Erika), il brano per cui provo più affetto è Sirenalidad. È il primissimo che abbiamo scritto, ha significato una fortissima emozione. Si tratta di una novella, una storia messa in musica, che parla di amore, magia, mare. Ha un sound particolare, ed è la più “orchestrata” del disco. Ci sono arpa, violini e violoncello, abbiamo addirittura registrato delle gocce d’acqua mettendo il microfono vicino a una pentola e un contagocce.

Per me (Agustìn), sicuramente Sirenalidad è quello a cui voglio più bene, condivido ciò che ha detto Erika, ma Salí lo sento particolarmente mio, sia per il testo che per l’armonia. Il microsecondo della “i” di Salí mi fa stare così tanto bene, che ho l’impressione che quel momento duri molto di più di quanto dura nella realtà.

La vostra musica mescola bossa e jazz, folk e latin. Quali sono i riferimenti musicali a cui vi ispirate?

Amiamo la profondità autunnale di Nick Drake, le chitarre cristalline dei Kings of Convenience, la rotondità e la poesia profonda nella voce di Caetano Veloso, il calore energico dei cori della musica brasiliana, i ritmi latini e la voglia di muoverti e ballare che scatenano. All’influenza jazzistica non ci siamo arrivati direttamente, nonostante entrambi lo abbiamo studiato. Diciamo che è un riflesso della musica brasiliana, soprattutto la Bossa nova, che già negli anni ’50 era stata fortemente influenzata dal Jazz americano. Il mix che nasce quindi è un incontro tra la bossa nova (Salí, Escúchame Mar), e il Folk anglosassone (Para Mi Potnia, Caribe, l’inizio e la fine di Sirenalidad).

Da quando è nato il vostro progetto, nel 2015, avete investito molte energie nell’attività live. Com’è il vostro rapporto col pubblico?

Amiamo i contesti in cui il pubblico può sia ascoltarci in silenzio, sia volendo mettersi a ballare. Questo perché i nostri brani hanno due “chiavi d’ascolto” diverse, alcuni sono più d’ascolto appunto, più “teatrali” e comunicativi, altri più leggeri e nati per ballare sotto un cielo estivo. Ci piace vedere la gente che balla con noi, così come ci piace vedere il pubblico che ci guarda attento. Sono entrambe vie di condivisione e unione fra noi che suoniamo e chi ascolta.

Nel 2016 avete vinto due premi, “Toscana 100band” e il “Premio Fisoni”. Come giudicate il panorama musicale attuale? Quali possibilità ci sono per i musicisti emergenti?

La vita del musicista, soprattutto all’inizio, è tutto fuorché facile. Per ottenere piccoli risultati è necessaria una fatica molto grande, ma per fortuna in questo Paese, nonostante tutto, ci sono diverse opportunità per i musicisti emergenti.

“Toscana 100band”, bando della regione Toscana, finanziato dall’Unione Europea e amministrato dal presidente della regione Enrico Rossi, è stata un’esperienza quasi utopistica. È bastato compilare una scheda d’iscrizione, inviare due brani inediti, stare dietro a un po’ di burocrazia, per ricevere magicamente una mano gigantesca (siamo stati i primi classificati su oltre 700 band candidate). Senza questa vittoria probabilmente non avremmo avuto i mezzi e il coraggio per dedicare il 100% del nostro tempo a Sinedades. Sinceramente pensiamo che siano davvero pochi i casi nel mondo in cui un finanziamento pubblico dà una mano così consistente a degli artisti emergenti, infatti ci siamo sentiti davvero privilegiati.

La stessa cosa è successa con il “Premio Fisoni” (primi classificati) e con il “Rock Contest” (seppur non abbiamo ottenuto nessun premio, è stato comunque positivo per aver avuto la possibilità di conoscere molti professionisti del mondo della musica, con i quali sono nate successivamente delle collaborazioni).

Una cosa però ci piacerebbe sottolineare. Le possibilità per i musicisti emergenti ci sono, ma un una fetta molto grande del risultato è dipesa da noi. Ci abbiamo sempre creduto, ciecamente, e abbiamo lavorato con un ritmo quasi estremo dal primo giorno della creazione del gruppo. Abbiamo optato per scelte di vita particolari (Erika a 20 anni ha sospeso gli studi al Conservatorio di Bologna e Agustìn, a 18 anni, si è licenziato da una scuola di musica di Roma in cui aveva 15 allievi e da un ristorante in cui aveva ingaggio fisso tutte le sere), mettendo tutta la fiducia e determinazione e il tempo in Sinedades. Insomma, ci abbiamo messo da sempre il massimo delle nostre energie.

Quali sono i vostri piani per il futuro? E i vostri sogni?

Che bella domanda.

I piani per il futuro sono principalmente:

  1. Registrare il prossimo Album (“Simplemente”), composto da altri dieci brani nostri già pronti.
  2. Fare un viaggio in Sud America alla scoperta di tutti i paesaggi, melodie, ritmi e poesie che influenzano il nostro sound dall’altra parte dell’Oceano.

Il sogno è vivere (bene) soltanto di musica, non solo con Sinedades ma con un altro nuovo progetto sempre nostro, totalmente diverso, che si chiama Moonwise Den. Per adesso non abbiamo ancora pagato l’affitto di questo mese, però, man mano che passa il tempo, il sogno è sempre meno impossibile, e di questo ne siamo infinitamente felici.

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