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Intervista a Vincenzo Destradis dei Mangroovia, band nu-soul made in Bologna

Il loro sound mescola al soul sonorità pop e musica elettronica, R&B e hip hop. Il loro nome fonde l’immagine della mangrovia – pianta litoranea dalle radici a trampolo, dal fogliame fitto come una capigliatura afro – con la parola “groove”, termine inglese per ritmo, nel suo senso più viscerale, quello usato nella black music.

Stiamo parlando dei Mangroovia e il loro EP omonimo, disponibile dal 25 gennaio scorso su Spotify, iTunes e sulle principali piattaforme digitali, è davvero un ottimo album d’esordio.

Nato a Bologna nel 2015, questo quartetto composto da Vincenzo Destradis alla voce, Simone Pizzi alle tastiere e ai synth, Vyasa Basili al basso e Vincenzo Messina alla batteria, ha fatto del groove il proprio tratto distintivo. Insieme alla costante esplorazione di soluzioni sonore originali e alla ricerca timbrica.

Le tematiche affrontate nelle loro canzoni sono varie e intimiste. Dal rapporto con la terra natale, a quello con Bologna, la città in cui risiede attualmente la band, dalle scelte di vita individuali, fino una riflessione più ampia, sulla società odierna.

Abbiamo avuto l’occasione di rivolgere qualche domanda al cantante dei Mangroovia, Vincenzo Destradis. Ecco quello che ci ha raccontato.

Ciao Vincenzo, innanzitutto grazie per averci dato l’opportunità di conoscervi meglio. Rompiamo il ghiaccio con una domanda di rito. Chi sono i Mangroovia? E come è nato questo progetto?

Ciao Chiara, innanzitutto ci fa molto piacere condividere con te questa intervista. I Mangroovia – i cui componenti sono Vincenzo Messina alla batteria, Simone Pizzi alle tastiere e synth, Vyasa Basili al basso e io, Vincenzo Destradis, alla voce – sono un progetto musicale nato circa quattro anni fa a Bologna. Non ci siamo incontrati tutti subito: inizialmente la formazione era un trio, senza il basso, che veniva sostituito da Simone. Insieme a lui componiamo la maggior parte dei brani. Inizialmente non avevamo ancora bene in mente cosa fare, suonavamo con l’intento per lo più di fare qualche soldo nei locali bolognesi, arrangiando certi brani popolari con ritmiche e armonie jazz, nu-soul. Ben presto però è arrivata la spinta a comporre, avendo appreso in quel periodo componenti stilistiche di un certo tipo di musica. In questo senso ci ha aiutato moltissimo la presenza di Filippo Bubbico nei Mangroovia, che arrivò circa tre anni fa. Si inserì alle tastiere come bassista synth per supplire alla mancanza del basso. Con lui abbiamo condiviso, nonostante la sua breve permanenza all’interno del gruppo, una grande amicizia e dei bei concerti. Resta ancora il suo zampino in alcune nostre composizioni: una che non c’è nell’EP, ma ci accompagna da sempre nell’apertura dei nostri live, “Scent Of a Woman”, e l’altra, “Zanzare”, di cui ho condiviso la composizione. Filippo è stato sostituito poi da Vyasa Basili, l’unico bolognese DOC. Con Vyasa abbiamo, diciamo così, chiuso il cerchio: una grande personalità al basso, che contribuisce in maniera del tutto positiva agli arrangiamenti delle nostre composizioni, attraverso una larga intesa ritmica con il batterista.

È appena uscito il vostro EP. Ti va di parlarcene un po’?

Il nostro EP è un’iniziale produzione, in vista di un futuro album. È una sorta di presentazione o, se vogliamo, un primo incontro ufficiale negli store con il pubblico. Non ci sono pretese in questo frangente: sono i primi brani che abbiamo composto, li abbiamo prodotti a costi ridotti, registrati in casa, e nel mentre abbiamo ripreso contatto con Filippo, il quale ha contribuito nel missaggio e nella masterizzazione del prodotto. Noi siamo un band e come tutte le band ci promuoviamo come meglio possiamo, per far sì che la nostra musica si possa sentire ovunque. Sicuramente avere solo un brano in italiano non ci avvantaggia, in un Paese come l’Italia. Approfitto dell’occasione per dire che ci stiamo lavorando…

In effetti la maggior parte dei vostri brani sono in inglese. C’è un motivo per cui lo preferite all’italiano?

L’inglese è chiaramente la lingua più adatta alla tipologia di stile che adottiamo, ma ci sono alcuni brani nell’album che trasformeremo in italiano, quanto meno per avere più visibilità. Se vogliamo distribuzione in Italia, riteniamo sia necessario. Per quanto riguarda “Zanzare” è un brano che ho sentito adattarsi subito alla nostra lingua nativa. Ha una melodia “frammentata”, che si adatta particolarmente all’italiano ed è molto semplice, seppur l’armonia non lo sia del tutto.

In un momento in cui c’è tanta offerta musicale, perché pensi dovremmo ascoltare il vostro disco? Secondo te quali sono i punti di forza, ciò che rende originale la vostra musica?

Cerchiamo di differenziarci dai più, soprattutto come impronta stilistica. Ognuno di noi viene da esperienze diverse e fare qualcosa di diverso dal solito può generare qualcosa di nuovo. Noi cerchiamo di trovare un’impronta stilistica che ci appartenga e che non venga confusa troppo con nessun’altra. Mi viene da dire… di essere il più originali possibile! Secondo noi è questo il nostro punto di forza. Tutto questo si riesce a creare quando si condividono grandi esperienze, sia musicali che di vita. Non è sempre una condizione prettamente musicale quella di comporre musica. È anche saper stare con gli altri e condividere al meglio le idee, avere un obiettivo comune. Come vengono poi le idee non lo sappiamo nemmeno noi!

Quali sono i vostri riferimenti musicali?

I nostri riferimenti musicali sono molti. È utile avere una formazione musicale adeguata per poter crescere in tale contesto. Non significa per forza entrare in una scuola o in un’accademia, si parla di conoscere i capisaldi della cultura sia afroamericana, che europea classica. Questo ci dà un bagaglio che forse nella musica popolare si è perso, specie in Italia. In generale sembra manchi una cultura musicale, soprattutto agli ascoltatori. Guardando ai nostri giorni ci vengono in mente artisti come Thundercat, Gotye, J Dilla, Tame Impala, Little Dragon… Un elenco sicuramente eterogeneo! Vincenzo Messina e Vyasa hanno una vena ritmica filo-americana, come riferimenti penso agli Hiatus Kaiote o Robert Glasper Experiment. Personalmente io sono più sull’ R&B e il soul e Simone proviene da una formazione più europea, è ispirato molto anche dal filone indie/rock internazionale (è uno sfegatato degli MGMT!).

Tra i brani dei Mangroovia ce n’è uno a cui sei particolarmente legato? Perché?

C’è un brano a cui siamo legati particolarmente e questo è sicuramente “Golden Cage”. Il pubblico lo apprezza particolarmente e all’interno di esso sono condensati riff efficaci e melodie, a mio avviso, sorprendenti. Poi siamo legati anche al testo, che tratta di tematiche importanti come la coscienza, l’essere piuttosto che l’avere.

Cosa vi lascia la dimensione del live? E quale è la lezione più importante che avete imparato sul palco?

Il live è il momento più importante per la crescita di ogni gruppo. Ogni live è importante, ma è altrettanto significativo trovare il posto giusto e il palco giusto che faccia al caso nostro… cosa abbastanza difficile. Ora però stiamo crescendo e le possibilità di trovare palchi della “nostra portata” stanno aumentando. Suonare in live in generale è un modo per capire se il pubblico apprezza la nostra musica. I live ci fanno crescere professionalmente: la ricerca dei suoni, strutturare i brani in maniera differente a seconda del concerto, talvolta inserire all’interno della canzone, se necessario, un po’ di improvvisazione, anche se ora molto più circoscritta di prima. Cerchiamo dai live anche di capire se alcuni brani effettivamente valgono più degli altri, sia attraverso il nostro personale apprezzamento dell’esecuzione, sia attraverso quello del pubblico.

Cosa pensate della scena musicale in cui vi muovete? Quali difficoltà incontrate e quali possono essere i vantaggi per una band o musicista oggi?

Il tipo di scena musicale di cui facciamo parte è nato da non molto in Italia. E sicuramente da qui deriva anche la prima difficoltà: non è culturalmente espresso ai più il nostro stile, anche se forse qualcosa sta cambiando. I vantaggi per una band o musicista oggi sono chiari a tutti, nonostante il web abbia influenzato la musica sia in senso positivo, che negativo. Abbiamo la possibilità di poter creare in casa a costi irrisori tutta la musica che vogliamo, basta un poco di volontà e desiderio. Poi ci sono gli store digitali, che a prezzi vantaggiosi distribuiscono nuova musica in ogni dove. Dall’altra parte, però, poter distribuire così facilmente la musica ha creato molta concorrenza. E sicuramente in musica non si guadagna più come una volta, lo sanno tutti ormai. Fortunatamente per i musicisti, il live è comunque rimasto un caposaldo del contesto musicale. Attraverso i concerti una band può finanziarsi e farsi sentire, imbevendosi di esperienze.

Quali sono i vostri piani per il futuro? Qualche anticipazione?

Come detto fin dall’inizio, il nostro obiettivo è quello di fare il primo album in studio. Sarà un album con un concept un po’ differente. I brani nuovi, nonostante non perdano lo stampo ritmico “groove”, che c’è nell’EP, sono leggermente diversi e abbiamo l’occasione di presentarli nei nostri live. Stiamo intraprendendo delle collaborazioni con un manager di una nuova etichetta, la “Rosin Music”. Oltre all’album, siamo in cerca di festival e di occasioni per poter suonare sempre di più, e in questo frangente ci sono persone che ci stanno dando veramente una mano e che credono in noi.

Un ultimo messaggio ai nostri lettori. Come possono seguire i Mangroovia?

Ci potete seguire sicuramente tramite Facebook e Instagram dove pubblichiamo le nostre date ed eventi. Avremo una data importante a Bologna il 9 Marzo, la release dell’EP Mangroovia al Binario 69, e tante altre date… Poi ora siamo praticamente su quasi tutti gli store digitali e su Spotify, quindi se volete ascoltarci sapete cosa fare.

 

Info:

https://www.facebook.com/mangrooviatriomusic