Monthly Archives: July 2006
Boda "Psicosi di un giorno qualunque"
Disco molto godibile e dalle due facce in quanto l’irruenza e la ruvidezza apparente nascondono in realtà sonorità e concetti ben più profondi amalgamati sempre dalla violenza delle chitarre elettrificate e dal sontuoso incedere della sezione ritmica che scandisce in maniera secca e potente i ritmi dei brani (esempio ne è “Insetticida”). E’ così che il suono dei Boda pare ammiccare di volta in volta ai Marlene Kuntz (“Nenia”) o ai Nirvana più acidi (“Labirintite”) mantenendo però il medesimo suono granitico che trova apice nel brano di chiusura, quell’ “Atto II” che brilla di luce propria e che si distacca dagli altri mostrandosi più personale e più intimo, rock caldo e corposo davvero massiccio che forse per il suo essere strumentale si mette in risalto maggiormente sui brani fin lì ascoltati. Un pezzo davvero trascinante con batteria massiccia, chitarre sciolte, ruvide e (a scatti) distorte … davvero un ottimo modo per concludere un buonissimo disco di puro rock.
AGUA CALIENTES
AGUA CALIENTES
Etichetta:
Durata: 10 min.
Tracklist:
1. Fuori controllo
2. Rumore
3. Azul
Presenti nel panorama nazionale italiano da circa 10 anni, con il nome tratto da un dialogo di “spaghetti-western” di Sergio Leone, gli Agua Calientes si lanciano con un mix di soul,beat,ska e con un pizzico di atmosfera latina; tutto da contorno per delle radici pop.
Composti da 7 musicisti di gran classe, questa band intreccia un sound compatto e deciso tra fiati,trombe,cori,voci di anbedue i sessi,organo e tastiere con una miscela di basi ska.Con un curriculum tutto da vantare,questa brochure promozionale contenente 3 traccie audio ed una video (performance live TimTour 2005 -Lecce) si presenta come un aperitivo per la presentazione dell’album ufficiale previsto per settembre 2006.
ENTOURAGE
ENTOURAGE
“ENTER IN OUR AGE”
Etichetta: Autoprodotto
Durata: min. 28
Tracklist:
1. PANGEA
2. RAPANUI
3. MOSFET
4. TSUNAMI
5. ELETTROSHOW
6. ENTER IN OUR AGE
7. MAGNA GRECIA
E’ stata sempre opinione comune e condivisa che il nostro meridione ci propone realtà musicali davvero notevoli e interessanti, ma che passano inosservate e distratte a causa della difficile posizione geografica,della debolezza istituzionale tipica del Sud e dal mancato sviluppo complessivo. E’ evidente come la crisi meridionale si evidenzia in tutti i vari contesti dell’integrazione umana e come comporta difficoltà in qualcosa che è già maturo e pronto per essere servito.
Francesco Cacciapaglia, Devocka, Daniele Dall’Omo, Gabriele Bellini
.FRANCESCO CACCIAPAGLIA – MEMORIE
Dalle ceneri degli Aistesis prende avvio il percorso solista di Francesco Cacciapaglia, talentuoso cantautore barese. Senz’altro l’eseprienza in quella band ormai sciolta è servita a Francesco per mettere a fuoco e superare brillantemente errori e acerbe fragilità. “Memorie” si presenta difatti come un lavoro davvero maturo, ottimamente suonato e denso di melodie variegate e suadenti.
Non è affatto agevole orientarsi nel mare dei possibili riferimenti, posso però accennare al fatto che a livello vocale i progressi di Cacciapaglia sono lampanti: un mix tra Renga, Venuti e Finardi che dimostra una sicurezza nella timbrica e nell’intonazione non da molti, merito anche delle lezioni del mezzosoprano lirico Tiziana Portoghese. Reclama attenzione il gran lavoro in fase di arrangiamento svolto dal maestro Michele Campobasso (pianista diplomato in composizione e docente di musica elettronica e da film) e dai musicisti che hanno preso parte alle registrazioni (su tutti si cita la partecipazione di Rocco Zifarelli, già collaboratore di Cristaino De Andrè e Ivano Fossati).
8 tracce che spaziano dal rock mediterraneo alla bossanova, passando dal pop.
Apre “Sirena” con una chitarra vagamente Radiodervish, pezzo che è immediata dichiarazione d’intenti: questa è musica solare, elegantemente nobilitata da archi sintetizzati, curiosamente e efficacemente accostati a improvvise aperture ritmiche che richiamano i Ridillo.
Segue “Un passo all’istante” e ogni dubbio viene fugato rispetto al fatto che Francesco fa della parola un mezzo di comunicazione non banale, direi anzi che a tratti esemplare è il connubio tra l’intensità del contenuto lirico e la necessità di veicolare il proprio lavoro in maniera non insensatamente ricercata, se non elitaria.
Dopo due pezzi costruiti attorno all’esperienza dell’amore latamente inteso, arriva “Orone'”: denuncia che parte dai fatti dell’11 settembre per arrivare a prendere coscienza della pavida standardizzazione a cui troppe persone condannano la propria vita.
“Mediterranea” è il singolo di “Memorie”: perfetta struttura di strofa, bridge e refrain irresistibile e testo incentrato sul concetto di libertà (e capacità di difenderla spiccando il volo).
Ritorna l’amore con “La meraviglia”, probabilmente la canzone che con maggiore probabilità potrà fare presa su un pubblico “radiofonico” .
“Ibrido” attira la mia attenzione per la tematica trattata: la difficoltà di ricercare propri percorsi senza necessariamente dovere sottostare a volontà esterne e potenti. Situazione con la quale moltissimi, prima o poi, devono fare i conti. Sarà facile identificarsi nelle belle parole di questo testo.
Chiudono “Dipinto col dubbio” (amore cantato a quattr’occhi) e “Memorie”. Quest’ultima schiude il senso dell’intero lavoro (il cui titolo contraddistingue anche il primo romanzo di Cacciapaglia): vivere la propria vita intensamente, fino in fondo, spargendo il seme delle poesia per lasciare un segno del proprio passaggio. Mi soccorre una canzone degli Yo Yo Mundi che diceva così: “Si vive soltanto per non essere dimenticati”.
Raramente mi è capitato di ascoltare un disco autoprodotto di così alta qualità, formale e sostanziale. Quel che manca, adesso, è la chiusura di un accordo con una grossa produzione/distribuzione, premio per un investimento di denaro ed energie fuori dal comune.
DEVOCKA – NON SENTO QUASI PIU’
Esce per CNI/Delta Italiana (distribuzione Venus) “Non sento quasi più” dei ferraresi Devocka.
“Noise vs” apre il disco e inchioda l’ascoltatore a un concetto semplice e diretto: questo è rumoroso, incendiario indie-rock che ora sbanda verso il punk, ora verso il grunge, ora verso il crossover.
Eppure sorprende la successiva “Marzo”: ha una dolcezza tutta sua, con la doppia voce femminile di Cora e un ritornello su denso riff distorto e cadenzato che ammalia, emoziona, si fa ricordare.
Il parlato teso e inquieto di Tosi si fa apprezzare nella quarta traccia, “L’eco del tempo”, intrecciandosi efficacemente al cantato, nuovamente arricchito dagli interventi di Cora. Ma i Devocka riservano la parte conclusiva di “Non sento quasi più” alle composizioni più spigolose e claustofobiche: “Modo d’essere”, “Vecchio bavoso”, “Controllo” e “Dormidormidormi” richiamano le lezioni di Umberto Palazzo e Giorgio Canali.
Chiude “Nota uniforme” (presente anche come traccia video) e quel che resta è molto più che un’impressione: “Non sento quasi più” è un ottimo disco, i Devocka una band che trasuda urgenza comunicativa e pulsa di rabbia al vetriolo.
DANIELE DALL’OMO – IL POETA E L’AMORE
Il musicista bolognese Daniele Dall’Omo presenta 10 canzoni in cui s’incrociano le influenze di Caputo, Buscaglione e Paolo Conte (con cui ha collaborato), habitat perfetto per una voce dalle timbriche alle volte assai vicine a quelle di Fossati.
L’esperienza è tanta, dalle partecipazioni a festival Internazionali (tra cui Montreaux, Nizza, Montreal, Den Haag, JVC Jazz Festival a New York), alle collaborazioni alle incisioni di 900 (1992), Tourne’ (1993), Una Faccia in Prestito (1995),Tourne’ 2 (1997), Razmataz (2000), Reveris (2002), Elegia (2004).
La padronanza tecnica permette a Dall’Omo di passare con estrema disinvoltura dal tango (“Ultimo tango”) al jazz, dal latin-pop (“Movida”) al cantautorale, alla festa da banda (“Tarzan da città”, vicina per struttura e intenzioni ai Folkabbestia). I testi contribuiscono a tenere alta l’attenzione dell’ascoltare, grazie all’ironia (“La ragazza straniera”) e all’attitudine da cantastorie dell’autore. E difatti sono sue le seguenti parole: “Credo che uno spettacolo deve far riflettere (ma non troppo), caricare (ma non poco), divertire (più di tanto) e come una bella donna deve essere armonioso in tutte le sue forme”.
Disco piacevole e di gran classe.
GABRIELE BELLINI – PRIMO ACUSTICO SHOCK ELETTRICO
Bellini a 15 anni forma il primo gruppo: da lì prende avvio una carriera densa di esperienze, progetti, collaborazioni, culminata in questo disco ambiziosissimo, considerata la mole di partecipazioni, ognuna delle quali porta con sè le proprie sensibilità e quindi il problema di una ricomposizione sintetica sufficientemente omogenea. Devo dire che, tutto sommato, il risultato è raggiunto.
C’è, come ovvio, una vera e propria costellazione di richiami, alcuni dei quali convivono in una stessa canzone (è il caso di “Resta poco da dire”, in bilico tra Tiromancino e Bertallot). E’ affascinante l’incrocio di synth, elettriche ed acustiche, armonica e pianoforte, suoni orientaleggianti, sprazzi funky-rock e jazz. Alle volte ci si ritrova storditi da cascate di riff nervosi e graffianti (“Fading away”), altre incantati da blues scoppiettanti rasserenati da improvvisi violini (“DROC”), altre ancora cullati da suoni dilatati e quasi new age (“Albatross”) o immersi in lunghi viaggi strumentali vagamente Ozric Tentacles (“Contatto sia”).
Un viaggio lungo 16 tracce.
MARY’S JAIL
Tracklist:
1. I’ll never belong here
2. A perfect state of nervousness
3. Cold
4. Mary’s Jail
5. Bitter sweet
6. Darkside
7. Psilocybe
8. A new dawn
9. Secret garden
10. Last goodbye
11. Song eleven
Dieci songs per cinquanta minuti intensi, dove il rock regna sovrano.
Bastano però pochi secondi per percepire l’incredibile feeling della band con i loro strumenti, dalla padronanza della tecnica all’espressività delle note che, come per magia avvolgono l’ascoltatore e lo trasportano in un mondo parallelo.
Dolci e caldi, poi duri e secchi, i suoni si mischiano come in un brodo primordiale ed esplodono di rabbia e di sentimento con la sola forza di poche note.
Le influenze spaziano dal pop-rock britannico, al classic rock fino a toccare, o forse meglio dire a sfiorare, la psichedelia.
Incantevole e morbida la voce, poi così graffiante e carica di emozioni che quasi si sentono sulla pelle al solo ascolto.
Da ogni canzone traspaiono, non solo le doti del gruppo, sia a livello compositivo che esecutivo, ma anche e soprattutto la professionalità che li contraddistingue da molte altre band.
E la semplicità non manca.
Davvero perfetta l’atmosfera che riescono a creare questi quattro ragazzi, l’armonia tra le melodie, le parole – rigorosamente in Inglese- , il tocco sulla chitarra e la voce che si trasforma e segue come un’onda la musica che sale e poi riscende, aliena l’ascoltatore e lo porta lontano da tutto, e la mente viaggia su note così intense che quasi fanno male. e piangere per emozione è quasi scontato.
La prima parte del disco lascia respirare le distorsioni, ma la dolcissima “A new dawn” porta un attimo di tranquillità, fino alla chiusura strumentale della “Song eleven”, brano strappalacrime dove troviamo racchiusa in soli due minuti e trentadue secondi tutta l’espressività dell’album.
Che dire di più se non che la band lascia davvero senza parole!