Monthly Archives: March 2006
INTERVISTA COMABERENICE – SOTTOTERRA
Presentatevi a vicenda
Daniele Valentini basso, Pako Longo voce e chitarra, Giorgio Duca chitarra, Sandro Salomone batteria.
Come e quando nasce il vostro progetto?
P: Il progetto nasce per necessità come direbbero in molti. Desiderio di esprimersi ma nella fattispecie, nasce dalla casuale risposta ad un annuncio messo nella bacheca del mitico Bandiera.
D: I Coma (prima di esserlo) meno Pako avevano affisso la richiesta di cantanti e Pako ha risposto. I Comaberenice cmq nascono nel 2004, estate 2004
Giro Guidato
Il demo, dei Giro Guidato, è un disco con otto tracce, e lo si deduce – prima di ascoltarlo ovviamente – dai titoli scritti direttamente sulla superficie del cd (e menomale che stavano scritti almeno là!) e poi da nessun’altra parte.
Ora, non è che da un gruppo emergente – e si pensa anche piuttosto squattrinato – ci si aspetti un libretto patinato di dodici pagine con testi e book fotografico, ma che almeno abbia l’accortezza di proporre una semplice copertina che indichi la tracklist e la formazione del gruppo però si!
Invece questi ragazzi di Grottaferrata (Roma) – lo deduco dal mittente scritto sul pacchetto postale che mi è arrivato – hanno lasciato un po’ tutto al caso/caos, tant’è che inizialmente ho avuto anche il dubbio che Giro Guidato fosse il titolo del disco piuttosto che il nome del gruppo.
Forse, se l’intento di questi ragazzi romani è anche quello di cercare qualcuno che li voglia produrre oltre che quello di divertirsi, dovrebbero stare un po’ più attenti alla forma; comunque…
Il disco si apre con Reason e con la sua chitarra acustica funkeggiante che promette abbastanza bene. Segue Right over, che si distingue per il suo ritornello orecchiabile e immediato, e per le buone tastiere, nonostante qualche incespico di batteria.
Say you’ll be mine è un lento alla Aerosmith dei tempi di Armageddon, con un retrogusto di ballata stile Guns’n’Roses. Ma ahi me, da qui in avanti è tutto un climax discendente.
Eppure qualcos’altro di buono si ritrova; come l’uso sapiente e diffuso di suoni campionati di cui è capace il tastierista, che a mio avviso si distingue tra tutti i componenti del gruppo, ma di cui ignoro nome cognome o provenienza per i motivi di cui sopra.
Anche il riff continuo e martellante di chitarra distorta che percorre The sound of love è da segnalare, ma poi…
A un certo punto il disco cambia totalmente. In realtà è tutto abbastanza vario, e questa è un’altra nota a favore dei Giro Guidato, ma a partire dalla quinta traccia c’è un cambio radicale…perché i testi sono in italiano; e qui il climax si palesa ancora di più.
Si, perché se fino alla quarta traccia il mio non entusiastico rapporto con l’inglese non mi aveva permesso di carpire più di qualche stralcio di frase, ora i testi li capisco tutti, e bene; e purtroppo non mi piacciono per niente, o quasi. E finiscono anche per insabbiare quello che di buono si ritrova in un ritornello che sembra funzionare abbastanza (quello di Quante volte per esempio, nonostante il pezzo in generale mi ricordi un po’ un Simone che sembra Grignani che sembra Vasco) o, ancora una volta, negli arrangiamenti della tastiera (soprattutto in E passa il tempo).
Lo so, forse sono un po’ troppo radicale, ma nel 2006 mi sembra quanto meno anacronistico scrivere cose tipo “l’amore ci darà anche l’ultimo respiro che avrà”, o ancora “l’orologio del tuo amore si è fermato.”
Ragazzi, scusate. Mi dispiace.
Roccaforte "Parole mai dette"
A vedere la coprtina, a leggere il nome della band e ad osservare la grafica dei testi, pare di avere tra le mani un disco di una band metal appartenente al ramo sinfonico/epico. Niente di tutto ciò. “Parole mai dette” è un disco di cesellato pop/rock appena sfiorato da influenza prog: brani costruiti ottimamente e interpretati in maniera convincente sia per ciò che concerne il suono che per ciò che concerne la voce. Si sente che la band non è proprio agli esordi, la storia dei Roccaforte infatti (nonostante diversi cambi di line-up) risale ai primi anni 90 e questo ha permesso col passare degli anni alla band, di cesellare e rendere molto pulito il proprio sound! Un suono potente ma non assordante, delicato senza scadere in testi melensi e scontati. Un bel cd, orecchiabile e che si fa scoltare con piacere.
ZOLDESTER, NEWBORN, THE BLAST, NINIVE, WARNERVE, BRIZZI e FRIDA X, FINE BEFORE YOU CAME, PETRA MESCAL, SUBWAY
.Zoldester – se
Ascoltare il primo lavoro del progetto cantautorale rock barese Zoldester (i cui due elementi, Fabrizio Panza e Francesco De Napoli, sono stati membri dei Quarta Parete), è un po’ come prender parte ad un gioioso girotondo a piedi nudi sulla moquette, badando a non inciampare in improvvise increspature.
I suoni sono elettroacustici, soffici come le immagini dipinte da parole che scivolano nell’intimo e lo scoperchiano, amplificate dal packaging e dal corredo di foto e grafica di Francesco De Napoli, vincitore della IV edizione del premio “Click di note fotografiche” proprio grazie al lavoro sull’art-work di Zoldester.
Attraversando “Se” ci si imbatte nella piacevole alternanza di brani delicati e gonfiati della grazia di una sezione d’archi davvero pregevole (“Dicevo di sì”, canzone finalista al Premio città di Recanati 2005 o la bellissima “Si avvicina il cielo”) e altri decisamente più elettrificati e trascinanti (“Girate di luna”, “Guai”).
Zoldester porta con sè ed esprime tutta la fragilità e l’incanto che da sempre accompagnano chi ha il dono dell’esilio dal senso comune. Buon viaggio.
Newborn – demo dicembre 2004
Arrivano dalla provincia di Udine questi quattro scalmanati rockettari rispondenti al nome di Newborn: propongono 4 brani che senza alcuna via di fuga richiamano A perfect Circle e Tool per quanto riguarda composizioni e suoni, e Live, Pearl Jam e compagnia post grunge relativamente all’impostazione e al timbro vocale.
I brani funzionano, nel senso che sono costruiti in equilibrio accattivante tra melodia, pesantezza e distorsione: “Reflections” è canzone emblematica in tal senso.
Insomma, le premesse sono buone, anzi molto buone. Quel che manca ancora è una personalità spiccata e riconoscibile, un “marchio di fabbrica” che faccia pensare ai Newborn, senza scorciatoie o riferimenti fin troppo obbligati. Ma per questo c’è tempo.
The Blast – Everybody wants to change the world…but not themself
“Everybody…” si apre con un intro vagamente country che mi incuriosisce alquanto. Ma la prima traccia mi costringe subito a un passo indietro: per sette minuti e trenta secondi viene ossessivamente ripetuto lo stesso riff e la stessa linea vocale.
Comprendo i “canoni” della psichedelia, ma qui si rischia di debordare nella noia e nella monotonia. Non aiuta una registrazione insoddisfacente, la quale per di più fa cattiva mostra di sè nell’arco di 13 canzoni (!) per 65 minuti di musica.
Insomma, non voglio mortificare il lavoro dei Blast, anzi ritengo che ci siano spunti interessanti, quali il tentativo di proporre una sorta di ibrido tra hard rock ’70 e post punk/new wave, oppure brani che spiccano per qualità e contenuto (“Unghie rotte”). Consiglierei di concentrarsi su un numero ridotto di brani, raffinandoli (per esempio tagliando introduzioni spesso troppo lunghe), lavorando sui suoni. In bocca al lupo.
Ninive- Demo 2006
Il sound dei molisani Ninive è un incorcio tra
dark e goth-rock, un carillon elettrificato. I quattro brani proposti denotano idee molto buone: degna di nota in particolare la traccia numero 3, “Margharet”, il cui dvd avevo già avuto modo di visionare con interesse l’anno scorso. Qui è decisamente buono il lavoro delle tastiere e la voce di Daniele, strozzata alla maniera dei Verdena, ammalia.
L’aspetto sul quale probabilmente bisognerebbe concentrare le energie è quello esecutivo: sarà per la giovane età, sarà per i frequenti cambi di bassista, tuttavia la sezione ritmica risulta alle volte sensibilmente imprecisa. La registrazione poi “affoga” troppo il
sound complessivo. Ed è un peccato. Ma il futuro davanti ai Ninive è ancora lungo, non può che giocare a loro favore.
Warnerve – No one survives
Blocchi di acciaio che sgomitano: l’immagine può calzare per descrivere sommariamente la formula proposta dai Warnerve in queste 8 tracce prodotte da UNS (Urla nel silenzio, Aosta), per un totale di 40 minuti. Sia il sound che il cantato si posizionano a metà strada tra la potenza esplosiva di “Far beyond driven” e lo stoner acido dei Kyuss. Pezzi come l’iniziale “Welcome” farebbero la gioia di ogni thrasher pogante, con le sue ripartenze e la sezione ritmica tritasassi. La maestosa tempesta elettrificata di “Injustice” e “Infedele” (unico pezzo in italiano), con il suo incedere cadenzato e un testo sullo scontro di civiltà e religione, impreziosiscono questo “No one survives”, chiudendo degnamente un lavoro più che buono.
Enrico Brizzi e Frida X – Nessuno lo saprà (reading per voce e rock’n’roll band).
Quante volte vi è capitato di accendere lo stereo e leggere contemporaneamente un bel libro? E quante volta vi è capitato di dover tornare tre pagine indietro o di dover riprogrammare una traccia perchè rispettivamente l’attenzione propendeva troppo verso la musica o verso la pagina? Bene, Black Candy vuole risolvere il vostro problema proponendovi la contemporanea fruizione di estratti del libro di Brizzi “Nessuno lo saprà. Viaggio a piedi dall’Argentario al Conero” e di brani della rock’n’roll band bolognese Frida X (già Frida Fenner, con Jack Punk presente nella colonna sonora di Jack Frusciante è uscito del gruppo, e il cerchio si chiude).
Il rischio in questi casi è di pretendere dall’ascoltatore un ascolto fin troppo attento. Devo dire che però l’esperimento convince. La storia è quella di un quasi trentenne anarchico sposato, con figlio piccolo, matrimonio e lavoro zoppicanti, che decide, prima di diventare un “morto vivente”, di darsi 3 settimane per attraversare zaino in spalla e a piedi col fratello l’Italia da mare a mare.
Il connubio tra Brizzi e i suoi amici Frida X riesce a tenere sempre desta l’attenzione, calibrando perfettamente i momenti in cui la parola deve essere centrale, quelli in cui la musica deve alleggerire la fruizione (e lo fa con apprezzabile disinvoltura tra chitarre garage, basso e tastiere a tratti new wave), e quelli, infine, in cui parole e musica assieme sono tanto efficaci da mettere quasi l’ascoltatore davanti a uno schermo cinematografico.
Le tracce del cd raccontano gli episodi accaduti ai viaggiatori: dai rumori notturni degli animali, all’incontro con una coppia di motociclisti americani, a quello con due sanguigni campagnoli, con un viet e così via, fino al mare. Il viaggio è stato troppo bello, spunta l’idea di camminare sulle acque, fino alla Dalmazia… “Quando cammino penso, e i pensieri più spigolosi si levigano da soli. Per via dell’attrito. E’ una regola fisica”.
FINE BEFORE YOU CAME – Fine before you came
Mescolate un etto di Sonic Youth, mezzo litro di Joy Division, aggiungete un pizzico di Uzeda e i Fine Before You Came sono pronti. In tutta onestà non è agevole trovare netti riferimenti: si citano queste band giusto per suggerire un’idea. Black Candy e i Dischi dell’Amico Immaginario collaborano nella produzione di questa terza omonima fatica del quintetto, la distribuzione è targata Audioglobe. Insomma, una bella squadra dietro un disco molto ben riuscito: dai suoni curatissimi, ai contenuti, al packaging vagamente kafkiano (si sottolinea la presenza di un dvd con un cortometraggio curato dal film-maker Antonio Rovaldi, in sottofondo brani strumentali inediti).
In proposito il cantato descrive proprio il senso di alienazione tanto caro all’autore ebreo di Praga e nelle pieghe della disperazione a volte commovente aleggia l’autoanalisi che ogni volta andava in scena quando Curtis saliva sul palco durante gli ultimi live.
Post-punk? Post-rock? Parafrasando un celebre stralcio di testo “qualcuno è post, qualcuno è pre, senza essere mai stato niente” vien da dire che il grande pregio dei Fine Before You Came è proprio quello, semplicemente, di essere.
PETRA MESCAL – Occhio
Una quindicina di pagine intitolate “Piano di comunicazione per la promozione del disco” accompagna il cd “Occhio” dei Petra Mescal. Vi sono elementi di marketing, management, comunicazione e promozione: un lavoro fatto molto bene, in ogni minimo dettaglio, dall’altissimo profilo professionale.
Passando ai contenuti musicali, siamo di fronte a musica melodica italiana (con saltuari sprazzi funky) non proprio originalissima. Alle spalle dei Petra Mescal c’è il produttore artistico Andrea Zuppini (Concato, Cutugno, Casale, Paola e Chiara…): le dieci canzoni infatti hanno arrangiamenti e sonorità accattivanti, radiofoniche (si citano le emblematiche “Odio lei” e “Le mie parole”) ma il rischio è che il successivo aggettivo sia “prevedibili”. Stesso discorso per i testi, francamente privi di sussulti.
Non si mette in dubbio la professionalità dei musicisti e la qualità del prodotto, probabilmente i Petra Mescal conseguiranno i successi meritati ma la mia personale opinione è che proprio alle giovani band si richiede di osare un po’ di più, di acquisire il connotato personale che realizzi l’obiettivo di emergere da un mondo musicale davvero saturo e massificato.
Subway – 3 track demo 05
Ultimamente dalla Francia mi stanno arrivando lavori più che validi. E’ il caso, per esempio, di “Archie Kramer” dei Matamatah. Assistetti al loro live durante il Sziget Festival, nell’agosto 2005, a Budapest: uno dei più convincenti e coinvolgenti, assieme a quello dei Franz Ferdinand, grazie ad un repertorio che pescava tra i pezzi più sfacciatamente rock de “La Ouache” e di “Archie Kramer”, appunto.
E ora sto ascoltando questo demo delle Subway, formazione francese rock tutta al femminile che torna in pista con la nuova cantante Amandine, dopo un passato di grande rilievo (l’album “Rien ne se voit” del 2003 uscito per Mercury/Universal).
Anche in questo caso ho avuto il piacere di assistere ad una loro performance live, a Perugia, durante il Festival Internazionale di Rock Femminile Venerelettrica. Grinta da vendere, padronanza assoluta del palco e degli strumenti, una manciata di brani di pregevole fattura, una frontman felina e sfrontata.
Ascoltando “Je me laisse faire” o “Adieu désir” mi viene in mente il rock cazzuto di Giorgio Canali e Rossofuoco (non solo per una questione di idioma): seppur la registrazione non riesca a riprodurre adeguatamente la carica del live, sono tuttavia molto efficaci le pause in arpeggio, le ripartenze distorte, le ritmiche sincopate, i refrain melodici ma mai scontati, il cantato gonfio al contempo di rabbia e pathos.
Ne sentiremo parlare ancora, ne sono convinto.
Underground Railroad – Blessed with a curse
Quando ho aperto il pacchetto postale che conteneva il cd degli Underground Railroad, per come mi si presentava il contenuto (ovverosia: copertina e relative scelte estetiche di immagine e stile di carattere, illustrazione del cd, informazioni, note etc. etc.) ho pensato che certamente doveva essere un lavoro, come minimo, di discreta fattura. Poi, però, l’ho anche ascoltato, e ho cambiato idea, perché questo cd non è discreto, ma è proprio bello.
Innanzi tutto, pur essendo stati recorded “almost” live (come recita una delle note di copertina) i pezzi non risentono assolutamente di negligenza negli arrangiamenti, né di pecche o di incespichi eccessivamente vistosi.
Certo, è anche vero che la musica che questi tre ragazzi di Ferrara propongono non ama troppo i fronzoli; è essenziale, immediata, e loro stessi nella presentazione ci scrivono che “si potrebbe definire un rock’n’roll diretto, visibile anche nella semplicità della formazione: chitarra e voce, basso e batteria”.
E questo “rock’n’roll diretto” non ha neppure bisogno di troppe presentazioni, soprattutto per chi sia abituato ad eludere la marcatura stretta di MTV & Co. e ad attingere in maniera usuale e salvifica dai dischi di quasi quarant’anni fa.
E poi, i ragazzi sembrano già ben rodati: gruppo formatosi nel 2002, svariati concerti in Emilia e non solo, due esibizioni al Motorshow di Bologna (2003 e 2004), e una partecipazione al programma di Red Ronnie “Cosa succede in città”, nel 2004.