‘Round Coltrane, conversazione con Giacomo Bertocchi

Sono passati cinquant’anni dalla morte di John William Coltrane, appena quarantenne. È proprio in occasione di questo anniversario, con l’intento di proporre un ritratto emotivo di uno dei più grandi sassofonisti della storia del jazz, che è nata la produzione artistica ‘Round Coltrane. Uno spettacolo suggestivo, che unisce narrazione e musica, combinando le parole di Marco Vignudelli (interpretate dalla speaker di Radio Capital, Laura Gramuglia) con le musiche originali del sassofonista Giacomo Bertocchi, accompagnato alla chitarra da Lorenzo Macchiavelli. Lo spettacolo è stato presentato in anteprima al festival SpostaMenti lo scorso settembre, davanti a una sala gremita, a un pubblico col fiato sospeso. Di recente abbiamo avuto il piacere di fare quattro chiacchiere con Giacomo Bertocchi e questo è il risultato.

Ciao Giacomo, vuoi raccontarci come è nato questo spettacolo?

‘Round Coltrane è nato dall’amore che abbiamo io e l’autore del testo, Marco Vignudelli, per John Coltrane. Per quanto mi riguarda, Coltrane è il sassofonista che ha cambiato il mio modo di vedere la musica, e non solo. Io e Marco abbiamo quindi pensato di rendergli omaggio in occasione dei cinquant’anni dalla morte. Essere all’interno dell’associazione SpostaMenti, con cui poi abbiamo prodotto lo spettacolo, è stata una fortuna, perché ci ha permesso di metterlo in scena nell’ottica di proporlo al festival.

Lo spettacolo al festival SpostaMenti è stato il primo, giusto?

Sì, quello è stato il debutto. Ogni anno SpostaMenti apre il festival con una produzione dell’associazione e quest’anno è toccato a noi. È stato un grande piacere, è andato anche molto bene.

Quali sono state le fasi per realizzare questa produzione, i testi, gli arrangiamenti?

Dunque, il progetto si è sviluppato così: io ho lanciato l’idea – della serie “Adesso vi sgancio una bomba, proviamoci!” – poi io e Marco siamo partiti parallelamente. Il primo lavoro da parte mia è stato un grande riascolto di tutti i dischi, da parte di Marco entrare nel personaggio, andando a leggersi tutti gli articoli, le biografie, le interviste e gli studi su Coltrane. Abbiamo iniziato a lavorare insieme su qualche idea testuale, qualche suggestione musicale, e abbiamo visto da subito che funzionava bene. Per cui siamo rimasti su questa strada: creare una suggestione. Anche perché Coltrane è un personaggio del quale non si può dire tutto. C’è talmente tanto su di lui, che non basterebbe uno spettacolo lungo una settimana per raccontarlo!

Mi fa piacere che tu abbia usato la parola “suggestione”, perché è proprio la parola che è venuta in mente a me guardando lo spettacolo. Cosa ha ispirato le sonorità che hai composto? L’ascolto dei brani di Coltrane? Il testo che stava scrivendo Marco?

Un po’ tutte queste cose. Creare una suggestione attorno al personaggio era l’indirizzo e la meta che ci eravamo proposti. Ognuno ha lavorato alla sua maniera per farlo. Ci piace pensare che, una volta tornato a casa, chi ha visto lo spettacolo voglia scoprire altre cose su Coltrane. Non volevamo mettere in scena qualcosa di meramente didascalico. Pensa che, in fase di montaggio, tanti dettagli storici o tecnici sono stati tagliati, perché non collimavano con l’obiettivo di mantenere viva la suggestione della musica e del testo. In certi passi Marco ha lavorato di fantasia, ha inventato delle scene, anche se dal punto di vista storico abbiamo cercato di rispettare sempre gli avvenimenti per come sono andati. Non ci siamo inventati storie, ma abbiamo cercato di proporre le nostre visioni.

A proposito di visioni, per lo spettacolo avete usato anche delle foto…

Esatto. Per questo dobbiamo ringraziare tantissimo Laura Gramuglia, che si è inserita nella fase di montaggio e di messa in scena dello spettacolo. È stata lei a suggerirci di utilizzare le immagini che hanno fatto da sfondo, cosa che si è rivelata molto efficace. Non basta scrivere uno spettacolo, anche metterlo in scena è un grande lavoro, che ne determina la resa finale. Disegno luci, regia, entrate e uscite son tutte cose a cui io e Marco, come autori di testo e musica, non avevamo pensato. Anche da questo punto di vista, Laura è stata fondamentale. Per non parlare ovviamente del suo apporto artistico e professionale, della sua capacità di interpretare il testo, che ha contribuito a rendere lo spettacolo tanto emozionante

Una cosa che mi ha sorpresa dello spettacolo è che per la parte musicale non sono stati riproposti brani di Coltrane, come magari ci si poteva aspettare. Invece hai scritto dei pezzi originali, come mai?

Guarda, anche questa è stata una scelta. Nell’ottica di voler dare una nostra visione del personaggio, io ho deciso di utilizzare la mia musica. Una considerazione che ho fatto è stata: che senso ha rifare Coltrane? È un musicista che ha lasciato aperte talmente tante strade che forse, senza presunzione, può valere la pena proseguirne qualcuna. Io ho lavorato su idee mie, musicali, cercando di rimanere sempre vincolato o a un’idea di suono che mi è venuta ascoltando i dischi di Coltrane, o a un’idea armonica che mi è venuta dall’analisi di qualcosa che ho suonato di suo. A volte la musica è stata ispirata anche dal testo stesso. Ci sono alcuni pezzi che non hanno nulla di “coltraniano”, ma che sono nati per sottolineare ciò che sta raccontando Laura su palco. L’appoggio sul testo, il ritmo del testo, anche queste sono state parti fondamentali nella scrittura della musica e nella stesura degli arrangiamenti. Anche la ricerca del suono, la scelta di suonare con sax e chitarra elettrica, mentre Coltrane ha sempre suonato insieme al pianoforte, in quartetto. Insomma, lui aveva tutt’altro suono. Ma l’idea era proprio questa: portare avanti qualcosa di completamente originale.

E com’è stato lavorare allo spettacolo, abbinando sax e chitarra elettrica?

Il lavoro con il chitarrista, Lorenzo Macchiavelli, è stato divertente e interessante, perché siamo musicisti che suonano strumenti molti diversi. Anche di estrazioni molto diverse, nel senso che Lorenzo viene dal rock, dal blues, dal punk, mentre io vengo più dalla musica jazz e funky. Quindi lavorare insieme è stato bello anche per questo. Io ho scritto tutti i pezzi, la melodia, gli accordi e un’idea delle strutture, ma alcune soluzioni sono venute fuori anche alle prove, i pezzi sono cresciuti rispetto all’idea iniziale. È bello che sia così e credo che continueranno a crescere. È la visione di Coltrane, no? Appoggiare lì delle idee e farle sviluppare nell’atto in sé di suonare.

A proposito di visione “coltraniana”, nella presentazione dello spettacolo c’è scritto che con la sua scomparsa prematura Coltrane ha lasciato molti “orizzonti inesplorati”, che ne costituiscono l’eredità e che meriterebbero di essere esplorati. Quali sono questi orizzonti per Giacomo Bertocchi?

Ah, questa è una domanda tosta. Ci posso ragionare, nel senso che una risposta a questa domanda non ce l’ho adesso. Cos’è Coltrane per me, questo lo so: è “Il Sassofonista”. È un musicista che è riuscito a mantenere un indirizzo musicale e personale di estrema sincerità con se stesso, che è arrivato dopo un periodo di ricerca documentatissimo, nel senso che anche lui ne ha parlato. Questa ricerca interiore – che per lui aveva a che fare con Dio, ma ognuno può dargli il significato che vuole – credo sia il percorso che ogni musicista dovrebbe fare. Alla fine del riascolto di Coltrane, di tutto il lavoro fatto per entrare nel suo personaggio, mi son trovato costretto a dover rivedere tante cose di come suono. Anche a fare un passo indietro e a mettermi a studiare. La prospettiva della ricerca sfata un po’ questo mito stupido del grande jazzista che è un talento naturale, che non fa altro che drogarsi o fare sesso, e non deve preoccuparsi della musica perché tanto sale sul palco e improvvisa. Come se improvvisare volesse dire improvvisarsi, che è una stronzata. Ovviamente non tutta la musica di Coltrane è facile: alcuni dischi non riesci ad ascoltarli fino alla fine, mentre altri vorresti che continuassero in eterno. Però la sua musica è qualcosa che a me è sempre arrivata potentissima. È un pugno ascoltarlo.

Se la ricerca spirituale è stato il motore della musica di Coltrane, pensi di aver già capito qual è il tuo?

No, e spero di non capirlo mai. Secondo me neanche lui l’aveva capito. Non credo che in ambito artistico qualcuno possa arrivare a trovare qualcosa di cui è certo, la ricerca secondo me non dovrebbe finire mai. E questa è un po’ la critica che muovo a molti musicisti, il fatto a un certo punto di sedersi. Fermarsi.

Secondo te è questa sorta di irrequietezza a caratterizzare una mente creativa?

Più che irrequietezza è un processo che non è artistico, ma personale, è un processo di conoscenza di se stessi che avviene attraverso la musica. Che poi, secondo me, Coltrane mirava a far avvenire questa cosa anche nel pubblico. Il punto non è che, siccome hai sentito John Coltrane, ti vai a interessare di chi è lui. Il punto è che hai sentito della musica che ti fa interessare di chi sei tu. La cosa più grossa che Coltrane ci ha lasciato in eredità è una ricerca non strumentale della musica, una ricerca spirituale se vuoi. È una cosa evidente in tutti i suoi dischi: da My Favourite Things in poi, è chiaro che la direzione è quella. Questa è la mia lettura, ma spero non sia l’unica. Perché, come dicevamo, Coltrane è un personaggio che ha lasciato aperte davvero tante strade.

Qual è il pezzo o il disco di Coltrane che più ti ha segnato?

Sono due i pezzi che mi hanno stravolto. Uno è Naima, non solo perché è un brano che ha scritto per la sua donna, quindi c’è questo romanticismo di fondo. La cosa che mi ha davvero colpito è il fatto che è un pezzo che lui ha continuato a suonare, a fare e disfare, per tutta la vita, anche dopo che si era lasciato con Naima e si era risposato con Alice.

Secondo te perché?

Non lo so, forse perché in quel caso la musica ha vinto. È il discorso che facevamo prima sulla ricerca interiore: lui non ha scritto Naima per Naima, ha scritto Naima per sé, per quello che provava in quel momento. E di pari passo con l’evolvere della relazione – che è stata anche molto difficile sul finale – ha realizzato delle versioni di quel pezzo in cui si coglie questa evoluzione. L’altro lavoro di Coltrane che più mi ha segnato è Kulu Se Mama. È un disco che contiene due diverse anime. La prima si esprime nel brano di apertura, che, sulla scia delle improvvisazioni collettive più furiose di Coltrane, sembra quasi un rito catartico, di purificazione, e fa emergere una spiritualità corporea e violenta. L’altra, invece, trova spazio nel brano “Welcome”, che è una ballad distesa, quasi mistica, seppur piena di energia.

Tornando a ‘Round Coltrane, quali sono i prossimi passi dello spettacolo?

Stiamo cercando di portarlo in giro il più possibile. Le due prossime repliche sono entrambe sold out, per cui tutto lascia ben sperare… Venitelo a vedere!

 

Per informazioni sullo spettacolo ‘ROUND COLTRANE:

http://www.spostamentiassociazione.it

https://www.facebook.com/spostamentifestival