Offlaga Disco Pax in concerto allo Zenzero di Bari

I tempi del ginnasio sono (purtroppo) lontani. Allora, con 2-3 amici folli, in occasione dei concerti, il rituale prevedeva: partenze in treno subito dopo pranzo, altri eventuali mezzi pubblici, piazzamento dietro i cancelli, file titaniche, sospirata conquista finale delle transenne centrali, libagioni…
Tuttavia venerdì 28 aprile, per il concerto degli Offlaga Disco Pax allo Zenzero di Bari, non mi sono voluto privare del piacere di arrivare un paio di ore prima del live e di gustarmi l’attesa nel locale vuoto e rimbombante di silenzio.
Di fronte a me un palco reso scarno dalla mancanza della batteria ma in compenso addobbato da scatole di biscotti Tatranky (le fotografie sono di Anna Maria Stasi), un leggìo sulla cui copertina si fronteggiavano la foto della statua di Lenin e la prima pagina di “Cronaca vera”, un drappo con la scritta “Ceska posta”, un televisorino collegato ad una console con videogiochi stile vic 20, una valigetta piena di gomme cinnamon…
Scenario completato da una strumentazione ridotta a due chitarre (Fender e Rickenbacker) costellate da una dozzina di pedalini, un basso (anch’esso Rickenbacker), una tastierina (ravvivata da adesivi, tra gli altri, di Public Enemy e Settlefish), un portatile e un moog prodigy.
Alle 23:30 lo Zenzero registra un’affluenza significativa e davvero soddisfacente per la gioia di chi, come il sottoscritto, vorrebbe sempre incoraggiate iniziative di questo tipo dalle nostre parti. I 3 ragazzi degli Offlaga si aggirano tra il pubblico, chiacchierando e sorridendo, in sottofondo la new wave di Carlo Chicco.
Colgo l’occasione per un plauso al costante e indefesso apporto che tutto lo staff di Controradio Bari si sforza quotidianamente di fornire alla scena indipendente ed emergente. Plauso in cui desidero coinvolgere anche lo Zenzero, sede ormai abituale di appuntamenti innervati di qualità e coraggio.
Poco dopo le 00:00 Daniele Carretti e Enrico Fontanelli salgono sul palco, mentre Max Collini, tra una smorfia e un paio di corna all’indirizzo di Daniele Carretti, resta a sbirciare quel che accade dal vetro dei camerini.
Il pubblico scandisce il nome di Franco Marini e subito Enrico si unisce al coro a braccia alzate.
Entra Max Collini, qualcuno gli dice che è un bell’uomo ma che stava scherzando, lui sorride, presenta la band e si inizia con Kappler. L’uditorio risponde subito con calore, urlando all’unisono il momento clou del testo: “…ha la faccia come il culo!”.
Collini lancia al pubblico pamphlet con i testi dei pezzi previsti in repertorio e si prosegue: Enver, Cinnamon (con brevi riferimenti melodici ad Allarme dei CCCP), Tono metallico standard… Sottolinea il fatto che il pubblico è sin troppo preparato: lo anticipa non solo nella scansione testuale, ma anche nella presentazione dei brani.
Le basi ritmiche sono semplicemente scandite ora dalle basi preregistrate della tastierina, ora dal portatile; il lavoro di Enrico alle macchine è notevole: suona il basso e con la paletta dello stesso attiva il sintetizzatore. Quando la creatività supera strumentazioni faraoniche con risultati apprezzabilissimi…
Collini, della cui discutibile presenza scenica ho letto da qualche parte, in realtà trasforma i suoi momentanei imbarazzi in punto di forza, guardando negli occhi il pubblico, proponendo movenze lente e vagamente teatrali, trasformando il volto in cassa di risonanza per l’umore testuale.
I momenti più intensi si raggiungono durante l’esecuzione di Piccola Pietroburgo, De Fonseca (con ciabatta bene in mostra) e, ovviamente, Robespierre.
Ma gonfi di pathos catturano i presenti i due inediti finali: Cioccolato IACP e Sensibile. La prima racconta la desolazione di quei posti attraverso un episodio di sesso, pane, cioccolato e droga; la seconda invece è incentrata sulla figura dell’estremista nero Giusva Fioravanti, definito “sensibile” dalla compagna Francesca Mambro, appellativo che suscita in Collini un profondo disorientamento semantico lessicale.
Fine.
Si è parlato tanto (e si continua a farlo) degli Offlaga Disco Pax, del loro reale valore, della loro eventuale originalità: un po’ Massimo Volume? Un po’ CCCP? In tutta onestà penso che oggi sia davvero arduo proporre una formula musicale autenticamente originale, svincolata da qualsivoglia riferimento. Quei 75 minuti mi sono piaciuti, a tratti mi hanno emozionato, mi hanno fatto sentire parte di un vissuto, a tratti mi hanno fatto sorridere, a tratti mi hanno fatto ballare. E questo mi basta, eccome. Al di là di critiche intellettualcervellotiche.
Tutto il resto è desistenza (oppure, cito, “brutta bestia l’invidia”)…