ZOLDESTER, NEWBORN, THE BLAST, NINIVE, WARNERVE, BRIZZI e FRIDA X, FINE BEFORE YOU CAME, PETRA MESCAL, SUBWAY

.Zoldester – se
Ascoltare il primo lavoro del progetto cantautorale rock barese Zoldester (i cui due elementi, Fabrizio Panza e Francesco De Napoli, sono stati membri dei Quarta Parete), è un po’ come prender parte ad un gioioso girotondo a piedi nudi sulla moquette, badando a non inciampare in improvvise increspature.
I suoni sono elettroacustici, soffici come le immagini dipinte da parole che scivolano nell’intimo e lo scoperchiano, amplificate dal packaging e dal corredo di foto e grafica di Francesco De Napoli, vincitore della IV edizione del premio “Click di note fotografiche” proprio grazie al lavoro sull’art-work di Zoldester.
Attraversando “Se” ci si imbatte nella piacevole alternanza di brani delicati e gonfiati della grazia di una sezione d’archi davvero pregevole (“Dicevo di sì”, canzone finalista al Premio città di Recanati 2005 o la bellissima “Si avvicina il cielo”) e altri decisamente più elettrificati e trascinanti (“Girate di luna”, “Guai”).
Zoldester porta con sè ed esprime tutta la fragilità e l’incanto che da sempre accompagnano chi ha il dono dell’esilio dal senso comune. Buon viaggio.
Newborn – demo dicembre 2004
Arrivano dalla provincia di Udine questi quattro scalmanati rockettari rispondenti al nome di Newborn: propongono 4 brani che senza alcuna via di fuga richiamano A perfect Circle e Tool per quanto riguarda composizioni e suoni, e Live, Pearl Jam e compagnia post grunge relativamente all’impostazione e al timbro vocale.
I brani funzionano, nel senso che sono costruiti in equilibrio accattivante tra melodia, pesantezza e distorsione: “Reflections” è canzone emblematica in tal senso.
Insomma, le premesse sono buone, anzi molto buone. Quel che manca ancora è una personalità spiccata e riconoscibile, un “marchio di fabbrica” che faccia pensare ai Newborn, senza scorciatoie o riferimenti fin troppo obbligati. Ma per questo c’è tempo.
The Blast – Everybody wants to change the world…but not themself
“Everybody…” si apre con un intro vagamente country che mi incuriosisce alquanto. Ma la prima traccia mi costringe subito a un passo indietro: per sette minuti e trenta secondi viene ossessivamente ripetuto lo stesso riff e la stessa linea vocale.
Comprendo i “canoni” della psichedelia, ma qui si rischia di debordare nella noia e nella monotonia. Non aiuta una registrazione insoddisfacente, la quale per di più fa cattiva mostra di sè nell’arco di 13 canzoni (!) per 65 minuti di musica.
Insomma, non voglio mortificare il lavoro dei Blast, anzi ritengo che ci siano spunti interessanti, quali il tentativo di proporre una sorta di ibrido tra hard rock ’70 e post punk/new wave, oppure brani che spiccano per qualità e contenuto (“Unghie rotte”). Consiglierei di concentrarsi su un numero ridotto di brani, raffinandoli (per esempio tagliando introduzioni spesso troppo lunghe), lavorando sui suoni. In bocca al lupo.
Ninive- Demo 2006
Il sound dei molisani Ninive è un incorcio tra
dark e goth-rock, un carillon elettrificato. I quattro brani proposti denotano idee molto buone: degna di nota in particolare la traccia numero 3, “Margharet”, il cui dvd avevo già avuto modo di visionare con interesse l’anno scorso. Qui è decisamente buono il lavoro delle tastiere e la voce di Daniele, strozzata alla maniera dei Verdena, ammalia.
L’aspetto sul quale probabilmente bisognerebbe concentrare le energie è quello esecutivo: sarà per la giovane età, sarà per i frequenti cambi di bassista, tuttavia la sezione ritmica risulta alle volte sensibilmente imprecisa. La registrazione poi “affoga” troppo il
sound complessivo. Ed è un peccato. Ma il futuro davanti ai Ninive è ancora lungo, non può che giocare a loro favore.
Warnerve – No one survives
Blocchi di acciaio che sgomitano: l’immagine può calzare per descrivere sommariamente la formula proposta dai Warnerve in queste 8 tracce prodotte da UNS (Urla nel silenzio, Aosta), per un totale di 40 minuti. Sia il sound che il cantato si posizionano a metà strada tra la potenza esplosiva di “Far beyond driven” e lo stoner acido dei Kyuss. Pezzi come l’iniziale “Welcome” farebbero la gioia di ogni thrasher pogante, con le sue ripartenze e la sezione ritmica tritasassi. La maestosa tempesta elettrificata di “Injustice” e “Infedele” (unico pezzo in italiano), con il suo incedere cadenzato e un testo sullo scontro di civiltà e religione, impreziosiscono questo “No one survives”, chiudendo degnamente un lavoro più che buono.
Enrico Brizzi e Frida X – Nessuno lo saprà (reading per voce e rock’n’roll band).
Quante volte vi è capitato di accendere lo stereo e leggere contemporaneamente un bel libro? E quante volta vi è capitato di dover tornare tre pagine indietro o di dover riprogrammare una traccia perchè rispettivamente l’attenzione propendeva troppo verso la musica o verso la pagina? Bene, Black Candy vuole risolvere il vostro problema proponendovi la contemporanea fruizione di estratti del libro di Brizzi “Nessuno lo saprà. Viaggio a piedi dall’Argentario al Conero” e di brani della rock’n’roll band bolognese Frida X (già Frida Fenner, con Jack Punk presente nella colonna sonora di Jack Frusciante è uscito del gruppo, e il cerchio si chiude).
Il rischio in questi casi è di pretendere dall’ascoltatore un ascolto fin troppo attento. Devo dire che però l’esperimento convince. La storia è quella di un quasi trentenne anarchico sposato, con figlio piccolo, matrimonio e lavoro zoppicanti, che decide, prima di diventare un “morto vivente”, di darsi 3 settimane per attraversare zaino in spalla e a piedi col fratello l’Italia da mare a mare.
Il connubio tra Brizzi e i suoi amici Frida X riesce a tenere sempre desta l’attenzione, calibrando perfettamente i momenti in cui la parola deve essere centrale, quelli in cui la musica deve alleggerire la fruizione (e lo fa con apprezzabile disinvoltura tra chitarre garage, basso e tastiere a tratti new wave), e quelli, infine, in cui parole e musica assieme sono tanto efficaci da mettere quasi l’ascoltatore davanti a uno schermo cinematografico.
Le tracce del cd raccontano gli episodi accaduti ai viaggiatori: dai rumori notturni degli animali, all’incontro con una coppia di motociclisti americani, a quello con due sanguigni campagnoli, con un viet e così via, fino al mare. Il viaggio è stato troppo bello, spunta l’idea di camminare sulle acque, fino alla Dalmazia… “Quando cammino penso, e i pensieri più spigolosi si levigano da soli. Per via dell’attrito. E’ una regola fisica”.
FINE BEFORE YOU CAME – Fine before you came
Mescolate un etto di Sonic Youth, mezzo litro di Joy Division, aggiungete un pizzico di Uzeda e i Fine Before You Came sono pronti. In tutta onestà non è agevole trovare netti riferimenti: si citano queste band giusto per suggerire un’idea. Black Candy e i Dischi dell’Amico Immaginario collaborano nella produzione di questa terza omonima fatica del quintetto, la distribuzione è targata Audioglobe. Insomma, una bella squadra dietro un disco molto ben riuscito: dai suoni curatissimi, ai contenuti, al packaging vagamente kafkiano (si sottolinea la presenza di un dvd con un cortometraggio curato dal film-maker Antonio Rovaldi, in sottofondo brani strumentali inediti).
In proposito il cantato descrive proprio il senso di alienazione tanto caro all’autore ebreo di Praga e nelle pieghe della disperazione a volte commovente aleggia l’autoanalisi che ogni volta andava in scena quando Curtis saliva sul palco durante gli ultimi live.
Post-punk? Post-rock? Parafrasando un celebre stralcio di testo “qualcuno è post, qualcuno è pre, senza essere mai stato niente” vien da dire che il grande pregio dei Fine Before You Came è proprio quello, semplicemente, di essere.
PETRA MESCAL – Occhio
Una quindicina di pagine intitolate “Piano di comunicazione per la promozione del disco” accompagna il cd “Occhio” dei Petra Mescal. Vi sono elementi di marketing, management, comunicazione e promozione: un lavoro fatto molto bene, in ogni minimo dettaglio, dall’altissimo profilo professionale.
Passando ai contenuti musicali, siamo di fronte a musica melodica italiana (con saltuari sprazzi funky) non proprio originalissima. Alle spalle dei Petra Mescal c’è il produttore artistico Andrea Zuppini (Concato, Cutugno, Casale, Paola e Chiara…): le dieci canzoni infatti hanno arrangiamenti e sonorità accattivanti, radiofoniche (si citano le emblematiche “Odio lei” e “Le mie parole”) ma il rischio è che il successivo aggettivo sia “prevedibili”. Stesso discorso per i testi, francamente privi di sussulti.
Non si mette in dubbio la professionalità dei musicisti e la qualità del prodotto, probabilmente i Petra Mescal conseguiranno i successi meritati ma la mia personale opinione è che proprio alle giovani band si richiede di osare un po’ di più, di acquisire il connotato personale che realizzi l’obiettivo di emergere da un mondo musicale davvero saturo e massificato.
Subway – 3 track demo 05
Ultimamente dalla Francia mi stanno arrivando lavori più che validi. E’ il caso, per esempio, di “Archie Kramer” dei Matamatah. Assistetti al loro live durante il Sziget Festival, nell’agosto 2005, a Budapest: uno dei più convincenti e coinvolgenti, assieme a quello dei Franz Ferdinand, grazie ad un repertorio che pescava tra i pezzi più sfacciatamente rock de “La Ouache” e di “Archie Kramer”, appunto.
E ora sto ascoltando questo demo delle Subway, formazione francese rock tutta al femminile che torna in pista con la nuova cantante Amandine, dopo un passato di grande rilievo (l’album “Rien ne se voit” del 2003 uscito per Mercury/Universal).
Anche in questo caso ho avuto il piacere di assistere ad una loro performance live, a Perugia, durante il Festival Internazionale di Rock Femminile Venerelettrica. Grinta da vendere, padronanza assoluta del palco e degli strumenti, una manciata di brani di pregevole fattura, una frontman felina e sfrontata.
Ascoltando “Je me laisse faire” o “Adieu désir” mi viene in mente il rock cazzuto di Giorgio Canali e Rossofuoco (non solo per una questione di idioma): seppur la registrazione non riesca a riprodurre adeguatamente la carica del live, sono tuttavia molto efficaci le pause in arpeggio, le ripartenze distorte, le ritmiche sincopate, i refrain melodici ma mai scontati, il cantato gonfio al contempo di rabbia e pathos.
Ne sentiremo parlare ancora, ne sono convinto.