Roberto Dellera racconta la sua ‘Colonna sonora originale’

– Dì la verità che nella prima domanda mi chiedi perché il disco si chiama ‘Colonna sonora originale’…-
– Mmm…veramente no, non proprio. La prendo un po’ alla larga…-
Sorride sistemandosi il cappello.

Roberto Dellera, lo conoscete tutti come bassista degli Afterhours. Ora potete ascoltare anche il suo disco solista, una delle uscite più interessanti del 2011. Sviluppato nel corso di anni, alla fine è approdato all’etichetta MarteLabel. Lo intervisto prima del suo concerto all’Arteria di Bologna, nell’ambito della rassegna Salotto Muzika.

– Va bè, te lo dico lo stesso perché si chiama ‘Colonna sonora originale’…è stata l’idea improvvisa di una mattina…dato che l’album è stato concepito e sviluppato in un periodo di tempo abbastanza lungo, era difficile trovare un titolo che rappresentasse in toto questo percorso. Ma l’idea di una colonna sonora mi sembrava adatta, e poi a me piacciono le colonne sonore. Ti permettono di creare qualcosa di eterogeneo: da una parte un flusso narrativo continuo, dall’altra brani diversi, come nel mio disco-

Quindi un primo disco che non è un primo disco…

Sì, il primo ufficiale forse ma in realtà ho sempre fatto dischi. Prima degli After ho vissuto e suonato per dieci anni in Inghilterra. Poi sono tornato, ho incontrato casualmente Manuel Agnelli a una cena e ho partecipato all’audizione per entrare negli Afterhours come nuovo bassista.
Tornato in Italia ho anche inciso un disco con Diego Mancino, che ammiro moltissimo…il suo management mi propose di registrare dei pezzi e così ha preso il via questo progetto. Era il 2005/2006, la gestazione è stata lunghissima anche perché essendo entrato negli After ho dedicato gran parte delle energie a loro.
Colonna sonora raccoglie quindi le registrazioni di un periodo molto lungo, alla fine ho solo selezionato le canzoni che mi sembrava potessero avere un senso all’interno del disco.

Quali sono gli aspetti del disco di cui sei più soddisfatto? Cosa invece cambieresti o avresti voluto cambiare riascoltando i pezzi a registrazione conclusa?

Avendo avuto una gestazione lunga, sono riuscito a intervenire sul disco di volta in volta per correggere gli errori e alla fine sono molto soddisfatto, soprattutto del suono. Forse cambierei un paio di cose in due canzoni ma ormai il disco andava finito. Penso però che tutta questa attesa abbia avuto una sua logica e un significato: tra l’altro ho trovato un’ottima etichetta (MarteLabel ndr), un team di persone che lavora molto bene, e sono tutti giovani.
Siamo usciti con il singolo a luglio: in teoria è sconsigliato, ma ha funzionato lo stesso.

C’è nell’abum una canzone a cui sei legato in modo particolare?

Sono molto legato all’unica canzone che è rimasta in inglese, Il tema di Tim & Tom, anche se non sono proprio soddisfatto della voce. La prima parte della canzone è un demo originale che avevo registrato a casa di un mio amico in Inghilterra…il suono mi piace molto. Sono sempre molto attento ai suoni, che sono tanto importanti quanto le parole. Ci sono dischi famosi che a me non piacciono solo per i suoni: per esempio Jeff Buckley è un grande artista ma il suo disco Grace a me non piace a livello di suono.

A proposito di suoni, ho letto che hai registrato l’album un po’ ‘alla vecchia maniera’ …

In realtà non è tutto in analogico ma registrato in digitale utilizzando materiali vintage. Poi dipende tutto da quanto è bravo il fonico a smanettare: Tommaso Colliva, il mio, è insuperabile. Ora è in inghilterra che registra con i Muse…

In generale come ti viene l’ispirazione per una canzone?

La canzone comincia con un guizzo melodico, poi tu ci costruisci attorno… mi fa pensare a un libro di racconti che sto leggendo ora, di Carver…
Di cosa parliamo quando parliamo d’amore?
Si ma la versione originale, quella non editata…
Poi c’è un altro libro molto bello, di un autore italiano che parla di come scrivere un libro…è come dice lui, per la scrittura come per la musica…hai un guizzo, qualcosa che a te sembra speciale e poi intorno ci scrivi tutto il resto. Può essere una frase, un ritornello, una strofa strumentale…basta qualcosa, poi parti e vai.

Facendo un bilancio tra la tua esperienza da solista e quella con gli Afterhours…cosa ti porti dietro? Cosa è solo tuo e cosa appartiene alla tua esperienza con gli After?

L’approccio musicale è molto diverso. Adesso con gli After stiamo finendo il disco, che uscirà in primavera..segue l’idea di Manuel di cambiare sempre la metodologia di lavoro rispetto all’album precedente: è la sua ‘ossessione’ di non voler assomigliare a qualcos’altro, di uscire dai parametri, di essere spesso abrasivi. A Manuel a volte ho detto che essere abrasivi può togliere piacevolezza all’ascolto ma lui pensa che più è abrasivo più l’album ci rappresenta.
Il  mio disco invece non segue quel percorso, non ho bisogno di negare i miei ascolti, che sono abbastanza classic rock: Elvis, Jerry Lee Lewis, Chuck Berry…

Cosa hai in mente ora?

Portare in giro questo progetto!

Anche all’estero?

Per il momento no ma mi piacerebbe fare un ep in inglese e promuoverlo all’estero, vedremo…

E tu che hai già vissuto l’atmosfera musicale all’estero, cosa puoi dire confrontandola con quella italiana? Il bello, il brutto, dell’una e dell’altra.

È difficile vivere di rock ‘n’ roll anche in  Inghilterra, c’è una grandissima competizione, le leggi del mercato sono veramente crudeli, tutti promettono e poi scompaiono. D’altra parte all’estero le strutture sono più grandi e organizzate, la cultura musicale è molto più sviluppata. Anche a livello tecnico la gente fa meglio il proprio lavoro, c’è più professionalità.
Il rock ‘n’ roll, vorrei non doverlo dire, non attecchisce nel nostro tessuto sociale, perché non è nell’aria. In Inghilterra, in America, tu puoi entrare in un qualsiasi locale o negozio e c’è la musica nell’aria, di qualsiasi genere. E poi…da quanto tempo non abbiamo un cantante/cantautore che sia un vero personaggio …uno che abbia influenza. Non abbiamo più un’icona.

Con chi ti piacerebbe collaborare?

Andrei a suonare il basso per Beck!
Poi Daimon Albarn…è geniale e anche molto serio. Ma non ci ho mai pensato davvero…

E quando hai cominciato a suonare il basso volevi suonarlo come chi?

Ho cominciato con la chitarra e poi sono passato al basso, come la maggior parte dei bassisti che ammiro. Paul Mc Cartney per esempio è un grandissimo bassista.

Adesso che gruppi stai ascoltando?

Ieri alla Feltrinelli ho comprato un disco che si chiama Super Session, mi era rimasto impresso da ragazzino senza averlo mai comprato né sentito ..si tratta di una session registrata in un giorno e mezzo con Al Cooper, Mike Bloomfield e Stephen Stills, quello dei Buffalo Springfield …da lì sono nati Crosby Stills e Nash…
Poi ho ricomprato il primo disco di John Legend.

E concerti a cui pensi di andare? Non hai partecipato al ‘click day’ per il concerto dei Radiohead?

No, ho già visto i Radiohead a Cardiff, quando non era ancora uscito Kid A, il disco del grande cambiamento. E’ stato un concerto incredibile anche se la gente rimase perplessa notando il cambiamento già dalle prime tre canzoni. Ammiro la loro totale devozione verso la sperimentazione e il suono.

L’intervista finisce, la mia birra anche. Comincia la colonna sonora di Roberto Dellera, non più solo raccontata.