Francesco Cacciapaglia, Devocka, Daniele Dall’Omo, Gabriele Bellini

.FRANCESCO CACCIAPAGLIA – MEMORIE
Dalle ceneri degli Aistesis prende avvio il percorso solista di Francesco Cacciapaglia, talentuoso cantautore barese. Senz’altro l’eseprienza in quella band ormai sciolta è servita a Francesco per mettere a fuoco e superare brillantemente errori e acerbe fragilità. “Memorie” si presenta difatti come un lavoro davvero maturo, ottimamente suonato e denso di melodie variegate e suadenti.
Non è affatto agevole orientarsi nel mare dei possibili riferimenti, posso però accennare al fatto che a livello vocale i progressi di Cacciapaglia sono lampanti: un mix tra Renga, Venuti e Finardi che dimostra una sicurezza nella timbrica e nell’intonazione non da molti, merito anche delle lezioni del mezzosoprano lirico Tiziana Portoghese. Reclama attenzione il gran lavoro in fase di arrangiamento svolto dal maestro Michele Campobasso (pianista diplomato in composizione e docente di musica elettronica e da film) e dai musicisti che hanno preso parte alle registrazioni (su tutti si cita la partecipazione di Rocco Zifarelli, già collaboratore di Cristaino De Andrè e Ivano Fossati).
8 tracce che spaziano dal rock mediterraneo alla bossanova, passando dal pop.
Apre “Sirena” con una chitarra vagamente Radiodervish, pezzo che è immediata dichiarazione d’intenti: questa è musica solare, elegantemente nobilitata da archi sintetizzati, curiosamente e efficacemente accostati a improvvise aperture ritmiche che richiamano i Ridillo.
Segue “Un passo all’istante” e ogni dubbio viene fugato rispetto al fatto che Francesco fa della parola un mezzo di comunicazione non banale, direi anzi che a tratti esemplare è il connubio tra l’intensità del contenuto lirico e la necessità di veicolare il proprio lavoro in maniera non insensatamente ricercata, se non elitaria.
Dopo due pezzi costruiti attorno all’esperienza dell’amore latamente inteso, arriva “Orone'”: denuncia che parte dai fatti dell’11 settembre per arrivare a prendere coscienza della pavida standardizzazione a cui troppe persone condannano la propria vita.
“Mediterranea” è il singolo di “Memorie”: perfetta struttura di strofa, bridge e refrain irresistibile e testo incentrato sul concetto di libertà (e capacità di difenderla spiccando il volo).
Ritorna l’amore con “La meraviglia”, probabilmente la canzone che con maggiore probabilità potrà fare presa su un pubblico “radiofonico” .
“Ibrido” attira la mia attenzione per la tematica trattata: la difficoltà di ricercare propri percorsi senza necessariamente dovere sottostare a volontà esterne e potenti. Situazione con la quale moltissimi, prima o poi, devono fare i conti. Sarà facile identificarsi nelle belle parole di questo testo.
Chiudono “Dipinto col dubbio” (amore cantato a quattr’occhi) e “Memorie”. Quest’ultima schiude il senso dell’intero lavoro (il cui titolo contraddistingue anche il primo romanzo di Cacciapaglia): vivere la propria vita intensamente, fino in fondo, spargendo il seme delle poesia per lasciare un segno del proprio passaggio. Mi soccorre una canzone degli Yo Yo Mundi che diceva così: “Si vive soltanto per non essere dimenticati”.
Raramente mi è capitato di ascoltare un disco autoprodotto di così alta qualità, formale e sostanziale. Quel che manca, adesso, è la chiusura di un accordo con una grossa produzione/distribuzione, premio per un investimento di denaro ed energie fuori dal comune.
DEVOCKA – NON SENTO QUASI PIU’
Esce per CNI/Delta Italiana (distribuzione Venus) “Non sento quasi più” dei ferraresi Devocka.
“Noise vs” apre il disco e inchioda l’ascoltatore a un concetto semplice e diretto: questo è rumoroso, incendiario indie-rock che ora sbanda verso il punk, ora verso il grunge, ora verso il crossover.
Eppure sorprende la successiva “Marzo”: ha una dolcezza tutta sua, con la doppia voce femminile di Cora e un ritornello su denso riff distorto e cadenzato che ammalia, emoziona, si fa ricordare.
Il parlato teso e inquieto di Tosi si fa apprezzare nella quarta traccia, “L’eco del tempo”, intrecciandosi efficacemente al cantato, nuovamente arricchito dagli interventi di Cora. Ma i Devocka riservano la parte conclusiva di “Non sento quasi più” alle composizioni più spigolose e claustofobiche: “Modo d’essere”, “Vecchio bavoso”, “Controllo” e “Dormidormidormi” richiamano le lezioni di Umberto Palazzo e Giorgio Canali.
Chiude “Nota uniforme” (presente anche come traccia video) e quel che resta è molto più che un’impressione: “Non sento quasi più” è un ottimo disco, i Devocka una band che trasuda urgenza comunicativa e pulsa di rabbia al vetriolo.
DANIELE DALL’OMO – IL POETA E L’AMORE
Il musicista bolognese Daniele Dall’Omo presenta 10 canzoni in cui s’incrociano le influenze di Caputo, Buscaglione e Paolo Conte (con cui ha collaborato), habitat perfetto per una voce dalle timbriche alle volte assai vicine a quelle di Fossati.
L’esperienza è tanta, dalle partecipazioni a festival Internazionali (tra cui Montreaux, Nizza, Montreal, Den Haag, JVC Jazz Festival a New York), alle collaborazioni alle incisioni di 900 (1992), Tourne’ (1993), Una Faccia in Prestito (1995),Tourne’ 2 (1997), Razmataz (2000), Reveris (2002), Elegia (2004).
La padronanza tecnica permette a Dall’Omo di passare con estrema disinvoltura dal tango (“Ultimo tango”) al jazz, dal latin-pop (“Movida”) al cantautorale, alla festa da banda (“Tarzan da città”, vicina per struttura e intenzioni ai Folkabbestia). I testi contribuiscono a tenere alta l’attenzione dell’ascoltare, grazie all’ironia (“La ragazza straniera”) e all’attitudine da cantastorie dell’autore. E difatti sono sue le seguenti parole: “Credo che uno spettacolo deve far riflettere (ma non troppo), caricare (ma non poco), divertire (più di tanto) e come una bella donna deve essere armonioso in tutte le sue forme”.
Disco piacevole e di gran classe.
GABRIELE BELLINI – PRIMO ACUSTICO SHOCK ELETTRICO
Bellini a 15 anni forma il primo gruppo: da lì prende avvio una carriera densa di esperienze, progetti, collaborazioni, culminata in questo disco ambiziosissimo, considerata la mole di partecipazioni, ognuna delle quali porta con sè le proprie sensibilità e quindi il problema di una ricomposizione sintetica sufficientemente omogenea. Devo dire che, tutto sommato, il risultato è raggiunto.
C’è, come ovvio, una vera e propria costellazione di richiami, alcuni dei quali convivono in una stessa canzone (è il caso di “Resta poco da dire”, in bilico tra Tiromancino e Bertallot). E’ affascinante l’incrocio di synth, elettriche ed acustiche, armonica e pianoforte, suoni orientaleggianti, sprazzi funky-rock e jazz. Alle volte ci si ritrova storditi da cascate di riff nervosi e graffianti (“Fading away”), altre incantati da blues scoppiettanti rasserenati da improvvisi violini (“DROC”), altre ancora cullati da suoni dilatati e quasi new age (“Albatross”) o immersi in lunghi viaggi strumentali vagamente Ozric Tentacles (“Contatto sia”).
Un viaggio lungo 16 tracce.