DRUNK MONKEYS HOSPITAL

Nulla di più vero: un buon bicchiere di vino scioglie l’inibizione, l’imbarazzo e la timidezza, lasciando spazio alla sincerità, sempre più rara in un mondo dove l’apparire è più importante dell’essere.

In vino veritas, primo lavoro dei Drunk Monkeys Hospital, sembra proprio esser stato concepito con quella freschezza e naturalezza che sempre più spesso scarseggiano, codificando in versi e musica una visione del mondo dove non tutto è perfetto e ci sono molte cose da cambiare. Senza, però, cadere nella banalità della musica “finto-impegnata” che spesso trae la propria forza da luoghi comuni ed inconsistenti propositi rivoluzionari.

In un intreccio coinvolgente – con la band milanese che alterna ad un ottimo rock sonorità anni ’70, passando attraverso atmosfere reggae – i Drunk Monkeys Hospital si scatenano e coinvolgono sin dal primo ascolto grazie ad una voce calda e graffiante, che a tratti ricorda quella di Eddie Vedder dei Pearl Jam, e ad un sound che a momenti sembra riferirsi ai Queen of the Stone Age, con assoli di chitarra che tradiscono una piacevole vena hard rock.

Molto curiosa “A monkey’s world”, una sorta di riproduzione sonora dell’habitat naturale delle scimmie attraverso l’uso sapiente degli strumenti musicali.

La band, formatasi nel 2007, è musicalmente molto matura e In vino veritas, autoprodotto dalla band, merita proprio di essere ascoltato.

DRUNK MONKEYS HOSPITAL

Oggi incontriamo i Drunk Monkeys Hospital, gruppo emergente del panorama musicale milanese, difficilmente collocabile entro un genere e simpaticamente enigmatico sin dalla scelta del nome.

Ciao ragazzi. Iniziamo con la prima cosa che mi ha incuriosito di voi: perché Drunk Monkeys Hospital? Converrete con me che si tratta di un nome alquanto curioso.

Inizialmente era solo Drunk Monkeys. Devi sapere che a Cancellara, mio paese di origine, si associa il grado di ubriachezza ad un animale ed il massimo livello è quello della scimmia: da qui, l’affermazione “ubriaco come una scimmia”. Poi, una sera, mentre ci si rilassava dopo una cena luculliana, abbiamo visto un documentario sulle scimmie sacre: in Thailandia c’è un ospedale che cura i primati investiti dalle auto. Pertanto, abbiamo pensato di aggiungere “hospital” al nome del gruppo, per “curare” le patologie legate al falso verbo. Poi c’è un’altra versione che è la biografia del nostro MySpace: una sorta di leggenda metropolitana (molto divertente, ndr): la trovate al nostro indirizzo: www.myspace.com/drunkmonkeyshospital.

Ho ascoltato con molta attenzione il vostro lavoro, In Vino Veritas, e dai testi delle canzoni mi sembra di intuire che, consapevoli del mondo che vi circonda, vogliate fare il possibile affinché le cose possano migliorare: che messaggio volete trasmettere al vostro pubblico?

Gli argomenti trattati nelle tracce dell’album sono frutto del pensiero giovanile. La voglia di vivere in un mondo migliore, il desiderio di eguaglianza, la speranza di una rinascita attraversano le menti di chi crede che col suo grido si possa ottenere un miglioramento della condizione socio-culturale. Poi, crescendo in un luogo dove le attenzioni sono futili e controllate, si crea un certo senso di adattamento e si cade nella trappola della bandieruola sul tetto: il pensiero, fatto di rabbia e voglia di rivincita, si tramuta in amore forzato per argomenti commerciabili. Questo non è il nostro caso e continueremo a credere in ciò che diciamo ma lo diremo in modo diverso. Inevitabilmente si cresce! Vorremmo trasmettere il senso di libertà inteso come benessere spirituale e fisico e noi, che siamo scimmie, lo abbiamo.

Come ben saprete, il panorama musicale italiano, pur non regalando molti sbocchi, è ricchissimo di band, molto spesso omologate, pronte ad aggredire il mercato. Secondo voi, per cosa credete la vostra musica si distingua?

Spero che chi ascolta i nostri pezzi sia confuso e felice: confuso per il genere musicale; felice per averlo ascoltato. Cerchiamo di non creare un punto di riferimento nel genere per non essere accostati ad un gruppo determinato. Siamo i Drunk Monkeys Hospital e vogliamo essere ricordati come tali, spiazzando e rendendo incerta la collocazione musicale. Quando, in alcune interviste o promo del cd, ci hanno chiesto il genere della nostra musica, ognuno dei componenti del gruppo ha dato una sua versione: liscio anni ’70; hardreggae; hard rock. Non essendo un prodotto plasmabile, ci distinguiamo per altri aspetti: ad esempio, non abbiamo i capelli davanti agli occhi come i giovani di ultima generazione, sempre più spesso omologati e difficilmente riconoscibili per originalità.

In Vino Veritas, a mio avviso, rappresenta un debutto di tutto rispetto. Immagino lo abbiate riascoltato infinite volte per valutarne la fattura e la qualità: cosa vi convince e cosa ritenete di dover migliorare in vista dei prossimi lavori?

Siamo soddisfatti del lavoro che abbiamo svolto. Considerato che si tratta di un’autoproduzione e che il budget ed il tempo impiegato per realizzarlo non erano infiniti, crediamo sia un ottimo lavoro. Abbiamo avuto la fortuna di lavorare in studio con Gianluca Amendola, un fonico di tutto rispetto e molto aperto alle esigenze della band. Ci sarebbero da correggere alcune imprecisioni che all’orecchio dell’ascoltatore esterno risulterebbero irrilevanti (se solo avessimo avuto qualche mila euro a disposizione…). Vedremo di migliorar sempre di più fino ad annullarle definitivamente.

Lasciamoci alle spalle In Vino Veritas. Progetti ed idee per il prossimo lavoro?

Stiamo lavorando ad un progetto che sposta l’attenzione su argomenti che non siano sempre gli stessi, cercando di argomentare vicende di vita vissuta al fine di trasmetterne la morale, un po’ come si fa per le favole. Nel calderone musicale mescoleremo tutti i generi a noi più cari: quando si ascolta tanta buona musica è inevitabile coglierne i valori più significativi e cercare di adottarli come bagaglio da trasportarsi nel cammino artistico.

A proposito di buona musica: facendo riferimento al panorama musicale, italiano od internazionale che sia, a chi vi sentite più vicini?

Facendo ascoltare il nostro lavoro in giro, è capitato di sentire gli accostamenti più disparati: dai Police, agli Animals, fino a Zappa. Noi, personalmente, crediamo di suonare un genere che accomuna le nostre passioni musicali: dall’hard rock degli Zeppelin, a quello dei Deep Purple; dal metal classico dei black Sabbath, a quello degli Iron Maiden; dal reggae di Marley, allo ska ; dal rockabilly-contry-blues-rock&roll di Cash, Lewis, Vincent, al grunge dei Pearl Jam e compagnia; dalle radici del blues di Leadbetter, al funky dei vari Prince, James Brown e soci. Insomma, tutto quello che è stato storia e mito.

Lavorare in studio di registrazione è sicuramente un’esperienza bellissima ma il pubblico vuole il contatto diretto con i propri beniamini: avete un programma live?

Attualmente non abbiamo date in programma. Siamo molto concentrati sul nuovo progetto e, purtroppo, non possiamo altro che constatare che in Italia l’aspetto economico è preponderante. Abbiamo suonato, anche più di una volta, in tutti i locali del capoluogo lombardo. L’interesse del gestore tipico, però, si limita ad essere praticamente nullo nei confronti dello spettacolo, minimizzando i sogni di chi ha lavorato per realizzarli. Il mercato musicale italiano, come in ogni altro settore, oscura tutto ciò che rema contro l’interesse economico: in Italia, a nostro avviso, non c’è la concezione della musica live se non organizzata in festival praticamente inaccessibili. Come il Gran Fratello di Orwell, obnubila le menti di chi non sa ribellarsi. Noi siamo i vari Smith, Giulia e O’Brian del caso, utopici e adattati ad un sistema che sarà eternamente lo stesso. Mi fermo qui.

Purtroppo, il mercato italiano è molto difficile per una band che vuole emergere ed è per questo che è nato il nostro sito: per dare visibilità agli emergenti, nella speranza che chi merita davvero possa avere un minimo di visibilità. A questo punto, visto che siete un gruppo indubbiamente creativo, con chi mi devo congratulare per le parole e le musiche delle vostre canzoni?

I pezzi esistono dalla notte dei tempi, con relativi giri di basso, arrangiamenti vocali e di chitarra. Ovviamente, siamo un gruppo e cerchiamo di rendere onore al significato stesso della parola. Abbiamo l’abitudine di creare lo scheletro dei brani per poi scatenarci col rock. Lo stesso metodo viene applicato ai testi: si cerca di trattare un argomento che ci stuzzica, lo elaboriamo e il “consiglio supremo delle scimmie” lo avvalla solo se viene raggiunta l’unanimità dei consensi.

Bene ragazzi… è stato un vero piacere conoscervi ed ascoltare il vostro In Vino Veritas. A questo punto, attendo un vostro live per venirmi a scatenare con voi. In bocca al lupo per tutto ed a presto con il vostro prossimo lavoro.

La band:

Giuseppe (cumpa Pepp) Spano, Bassologo Specialistico, al basso;
Matteo (Heavydrum) Ravelli, con la laurea in Batterologia Primaria, alla batteria;
Rocco (zr) Erario, Chitarrologo Logopedistico, alla chitarra ed al microfono.

La banda delle scimmie ubriache e gli adetti ai lavori del suo ospedale vogliono ringraziare Matteo De Padova per aver concesso loro questa intervista e lo staff di sulpalco.com per averne reso possibile la visibilità.