Crossing – Intervista a Enrico Cipollini

Si intitola “Crossing” l’ultimo disco di Enrico Cipollini (accompagnato in studio dalla band The Skyhorses), uscito lo scorso luglio, a 4 anni di distanza dal suo esordio come solista con “Stubborn Will”.

Crossing” è uno di quei dischi che è un piacere ascoltare. Un disco poetico, malinconico e intimista in alcuni brani, più energico in altri, ma sempre evocativo. A partire dalla scelta del titolo. È un viaggio suggestivo, che si snoda lungo dodici tracce, attraverso strade polverose e incroci.

Le strade, gli incroci, sono le storie che le canzoni mettono in musica, storie di rassegnazione e di vite ribelli, di solitudine e vagabondaggi. Storie come quella del working man di “Slipping away”, prima traccia dell’album, della madre stanca di “Down the line” o della coppia sul punto di separarsi in “What’s left to do”.

Ma gli incroci sono pure quelli di generi e sonorità, in cui il background roots degli Skyhorses si fonde con il rock e il folk, il country e il blues, senza soluzione di continuità. Il risultato è un sound raffinato e garbato, reso intenso dalla capacità compositiva e interpretativa di Enrico Cipollini e della sua band.

Abbiamo avuto l’opportunità di rivolgere a Enrico qualche domanda. Ecco quello che ci ha raccontato.

 

Ciao Enrico! Benvenuto su SulPalco.com. Innanzitutto, grazie per aver accettato il nostro invito, è un grande piacere poterci confrontare con te.

Grazie a voi per l’invito.

Rompo il ghiaccio con una domanda per soddisfare una mia curiosità personale. Prima di intraprendere il tuo percorso da solista, hai suonato in diverse band (… ricordo ancora gli Underground Railroad!). Come è avvenuto questo passaggio?

È stato tutto abbastanza naturale, già quando suonavo con gli Underground Railroad avevo scritto alcuni brani che avevano una direzione musicale diversa, principalmente acustica e concepita per chitarra e voce e che quindi non avevano spazio in quel progetto.  Quando poi la band si è sciolta avevo il desiderio di andare in una direzione nuova che non fosse la ripetizione di quanto avevo già fatto e quindi eccomi qua.

Quali sono i pro e i contro nell’avere un progetto solista?

In realtà la mia situazione musicale attuale coniuga diversi elementi sia di un progetto solista che di una band e questo mi piace moltissimo. Mentre il primo disco era un vero e proprio album solista, il secondo è stato realizzato con un apporto veramente decisivo da parte dei musicisti coinvolti al punto che mi è sembrato naturale farlo uscire anche a nome loro. (The Skyhorses). Quindi al momento c’è una situazione mista dove alle volte suono con la band al completo e altre volte da solo o in duo. Mi piace avere questa possibilità.

A luglio dello scorso anno è uscito “Crossing”, il tuo secondo album, riscuotendo (meritatamente) un buon successo e bellissime recensioni. Ti va di presentarlo ai nostri lettori?

A dire la verità non sono molto bravo a presentare i miei lavori.  Quello che posso dire è che ci sono alcuni elementi di cui sono davvero soddisfatto. In particolare, sono fiero di averlo portato a compimento in un momento personale molto difficile. È stato possibile grazie all’alchimia che si è creata con tutte le persone che hanno lavorato al disco e che meritano di essere citate per intero, a partire dai fratelli Skyhorses: Iarin Munari-batteria / Roberto Catani–basso / Fabio Cremonini-violino; passando per il grande Angelo Paracchini che si è occupato della registrazione e del mix, Nicola Fantozzi per il mastering; e alcuni amici musicisti che hanno aggiunto un tocco davvero prezioso ad alcuni brani: Nick Muneratti-basso / Annalisa Vassalli-voce / Fabrizio Luca-percussioni / Joanna Marie Burke-voce.

Credo che questa magia che si è creata in studio si senta sul disco finito, e questa è la cosa di cui sono maggiormente soddisfatto.

Immagino che non sia stato facile far uscire un disco in un momento come quello che stiamo vivendo. Cosa conservi di buono, nonostante tutto?

Il momento è effettivamente pessimo ma dopo aver atteso qualche mese mi è sembrato assurdo non fare uscire l’album. Quello che conservo di buono è principalmente la reazione che il disco sta avendo, sia tra chi mi conosceva già e tra chi non mi aveva mai sentito. È una bella energia per andare avanti in questo periodo.

Tra “Stubborn Will”, il tuo disco d’esordio, e “Crossing” sono passati quattro anni. Come pensi si sia evoluta la tua musica, il tuo suono, durante questo arco di tempo?

Sono dischi molto diversi fra loro anche se credo che la mia matrice in termini di scrittura sia riconoscibile in entrambi. Non saprei dire bene come si è evoluta la mia musica, diciamo che forse c’è stato un desiderio di ampliare la parte strumentale e musicale dei brani rispetto al primo disco dove tutto è piuttosto scarno e intimista. In “Crossing” da questo punto di vista c’è un respiro più ampio.

Hai suonato in diversi festival e condiviso il palco con artisti della scena musicale italiana e internazionale. Qual è stata l’esperienza più bella? C’è un aneddoto che vuoi raccontarci?

Non saprei davvero dire quale è stata l’esperienza più bella. Un ricordo che mi è molto caro dell’anno scorso è quello del concerto in duo con Fabio (violino) al teatro di Pontinia vicino a Roma. Alla fine del concerto siamo usciti sul lato del palco e in sala hanno acceso le luci. La gente stava cominciando ad uscire quando sono rientrato velocemente sul palco per recuperare una bottiglietta d’acqua. La gente mi ha visto, si è fermata lì in piedi e si è messa nuovamente ad applaudire. Dopo pochi secondi ci siamo messi a suonare un ulteriore bis totalmente senza amplificazione, seduti sul bordo del palco e con il pubblico in piedi davanti a noi. È stato decisamente emozionante.

A proposito di live, ricordo di averti sentito dal vivo in occasione di un concerto di Jack Broadbent. Avevi aperto il suo live al Friday Night Blues… Ti farò perciò una delle domande che ho rivolto a lui quella sera: che cosa significa il blues per te?

Serata molto bella quella! Broadbent è un talento straordinario. È molto difficile dire a parole che cosa rappresenta il blues per me. Credo che si tratti di tantissime cose che vanno al di là di un genere o struttura musicale. La mia idea è che abbia molto a che fare con un’attitudine interiore, dell’anima, che si traduce poi nell’approccio alla musica. Se fai suonare uno stesso fraseggio a musicisti diversi ti accorgi quasi subito di chi ha questo approccio, quest’anima e di chi non ce l’ha. È una delle cose belle della musica che non tutto sia spiegabile in termini di teoria o tecnica.

In generale, come ti sei avvicinato alla musica? E quali sono i tuoi riferimenti musicali?

Mi sono avvicinato alla musica grazie a un paio di cassette dei Beatles dei miei genitori. Quella è stata la musica che mi ha colpito per prima. Mio padre poi mi ha insegnato i primi accordi sulla chitarra e da lì è partito tutto.

I miei riferimenti musicali sono tantissimi, anche perché mi piace ascoltare generi molto diversi fra loro. Se proprio devo fare alcuni nomi, citerei Robert Johnson, Bob Dylan, Bruce Springsteen, Tom Petty & the Heartbreakers, Jerry Douglas. Ma potrei andare avanti per un’ora!

Un disco che mi consiglieresti?

Posso consigliarti un disco che sto ascoltando in questi giorni, uscito proprio quest’anno che è “Starting Over” di Chris Stapleton. Molto bello.

Che ne pensi del panorama musicale di oggi? Quanto è difficile essere un cantautore?

Nel panorama musicale attuale credo che sia difficile essere un musicista in generale. Negli ultimi anni stiamo assistendo a un appiattimento e svilimento sia dell’aspetto artistico che di quello economico legati alla musica. Un esempio evidente che le cose non funzionano è quando senti che il CEO di Spotify (Daniel Ek), ovvero una persona che non ha la minima idea di come si scrivono canzoni, si permette di dire agli artisti che non possono più fare un album ogni due o tre anni ma devono produrre di più, in maniera continua. Come se fossero vacche da spremere in un allevamento. Questo, insieme allo streaming che agli artisti viene pagato una miseria, ha tolto valore alla musica, perché quando una cosa non costa nulla il messaggio che passa è che non vale nulla. Quindi per rispondere alla tua domanda, sì è molto difficile la situazione attuale ma cerco di rimanere ottimista e andare dritto per la mia strada, forse anche questo è un ciclo che è destinato ad evolvere in qualcos’altro. Come tutte le cose di questo mondo.

Nella speranza che presto si possa tornare a suonare dal vivo, quali sono i tuoi progetti per il futuro? Puoi darci qualche anticipazione?

Quando sarà possibile tornare a suonare dal vivo vorrei riuscire a realizzare quel concerto di “presentazione” del disco che è saltato a causa della pandemia. Nel frattempo, sto anche scrivendo nuovi brani e lavorando agli arrangiamenti di canzoni scritte da altri. Diciamo che mi tengo impegnato in attesa che si sblocchino i live. Speriamo sia presto!

 

INFO:

Crossing – Enrico Cipollini & The Skyhorses (2020, Enrico Cipollini / Distr. I.R.D.)

Tracklist:

  1. Slipping Away
  2. Down The Line
  3. History Repeating
  4. Somehow I Know
  5. What’s Left To Do
  6. Migrant Bird
  7. The Only Name
  8. Insheer
  9. Not Worth It
  10. Why
  11. All I Really Know
  12. Out Of here

Web:

www.enricocipollini.com

https://enricocipollini.bandcamp.com/

Photo credits: Jacopo Aneghini