BOtanique all’insegna del jazz, con Bill Frisell e Kamasi Washington

La rassegna bolognese “BOtanique” – festival estivo di musica dal vivo, giunto ormai alla sua ottava edizione – può vantare quest’anno di aver ospitato due nomi di grido nel panorama jazzistico internazionale, ad appena un paio di settimane di distanza l’uno dall’altro. Stiamo parlando di Bill Frisell – che ha musicato e portato sulle scene il documentario di Bill Morrison, “The Great Flood– e di Kamasi Washington, in tour per presentare il suo ultimo album, “The Epic”.

Bill Frisell Trio in “The Great Flood”

Musicista e compositore statunitense, William Richard “Bill” Frisell è considerato tuttora uno dei chitarristi più importanti della sua generazione, insieme a Pat Metheny e John Scofield. Allievo di Jim Hall, Frisell ha trascorso la sua carriera sperimentando la contaminazione tra jazz e altri generi, dal rock, al blues e al country (tanto da vincere nel 2005 il Grammy per il Best Contemporary Jazz Album, con il disco “Unspeakable).

Proprio in quanto artista eclettico, Frisell non è nuovo alla realizzazione di colonne sonore: basti ricordare le sonorizzazioni per accompagnare le pellicole mute di Buster Keaton, piuttosto che il suo album più recente, “When You Wish Upon A Star”, che contiene brani tratti da celebri soundtrack (incluse composizioni di Ennio Morricone e Nino Rota). È in questo contesto che s’inserisce l’accompagnamento al documentario di Bill MorrisonThe Great Flood”, che racconta la più distruttiva alluvione del Mississippi, avvenuta nel 1927.

Il connubio nasce dall’idea di non affidare la forza della narrazione alle sole immagini, suddivise in capitoli (“Mezzadri”, “Affluenti”, “Argini”, “Evacuazione”, etc.): Morrison e Frisell hanno lavorato insieme, affinché i fotogrammi diventassero tutt’uno con quella che lo stesso regista definisce “una musica tragica incredibilmente bella e movimentata”. Le musiche del chitarrista e del suo trio (composto dai fedeli Tony Scherr al basso e Kenny Wollesen alle percussioni) accompagnano sapientemente una scena dopo l’altra.

Note cariche di drammaticità seguono in un climax ascendente il movimento dell’acqua, che tutto travolge e ricopre: case, negozi e banche (mentre la classe media americana, quella non toccata dall’alluvione, va avanti indifferente e cieca nel suo consumismo). L’atmosfera è sospesa, quasi onirica, fino a che le persone non tornano in scena. È allora che la musica cambia di tono e di ritmo, che i soli si fanno più vivaci. I suoni sono espressione di un popolo – quello nero, soprattutto – che non si piega agli eventi, reagisce, si rimbocca le maniche, emigra se necessario, ma infine trova la forza di cantare e ballare.

 

Kamasi Washington – “The Epic” tour

Sassofonista e compositore statunitense, figlio di musicisti, pupillo di Flying Lotus, Kamasi Washington è considerato da molti l’avanguardia del panorama jazzistico attuale. Il suo quarto album, “The Epic”, è un disco triplo (lungo ben tre ore), che mescola sonorità jazz al funky e alla fusion. Un album corale e d’impatto, che giustamente ha riscosso un enorme successo di critica e ha portato il musicista all’attenzione del grande pubblico.

Su un tappeto di fiati e percussioni, Kamasi sale sul palco del BOtanique nella sua tenuta usuale: tunica e copricapo sulla testa. Sei brani, un’ora e mezza di concerto, una formazione composta da doppia batteria, tastiere, basso, trombone e, naturalmente, il sassofono di Washington: sono questi gli ingredienti di un live mozzafiato, trascinante e coinvolgente.

Si parte con due brani tirati, in cui i soli sono sostenuti dai ritmi afro delle percussioni e introdotti dalle fantasiose sonorità delle tastiere di Brandon Coleman. La vera sorpresa arriva però nel terzo brano, quando Kamasi chiama sul palco suo padre, Ricky Washington, che resta al sassofono soprano e flauto fino alla fine del concerto. È in questo pezzo più malinconico (quasi uno spiritual) che la vocalist Patrice Quinn affianca il flauto, intonando un testo cantato dal titolo “Henrietta Our Hero” (dedicato dal sassofonista alla nonna).

Nel quarto brano viene invece lasciata carta bianca al comparto ritmico, che si esprime con energici soli di basso e batteria (non a caso il pezzo è stato scritto dal batterista stesso), per poi accentuare le sonorità funky sul finire del live, il cui apice e conclusione è la bellissima “The Rhythm Changes”. Il pubblico apprezza, non c’è dubbio, ma non ne farei una questione di tecnica (che di certo non manca). Alla fin fine è il divertimento che contagia le persone e le fa muovere, innanzitutto il divertimento di chi sta sopra al palco.